Decide di giocare all’attacco sullo scandalo Atac Ignazio Marino, alla prova più ardua dopo la sua elezione. Così in Campidoglio c’è una sala stampa gremita di cronisti e telecamere ad accoglierlo, sul viso e nel tono della voce, di solito sempre così pacata, traspare la rabbia. «Noi siamo un’altra cosa» rivendica il sindaco della Capitale a marcare subito la distanza con le amministrazioni precedenti, anche di centro sinistra, sottolineando come «fin da subito abbiamo dato segnali di forte discontinuità nella gestione dell’Atac, cambiando l’amministratore delegato e molte posizioni apicali, tagliandi gli stipendi dei manager fino al 40% e fissando il tetto massimo dei compensi a 200mila euro per quattro poltrone», primi passi di quello che Marino definisce «un percorso di moralizzazione e rinnovamento».

Il primo cittadino annuncia poi che Roma Capitale si costituirà parte civile, come già proposto dal capogruppo di Sel Gianluca Peciola, rinnova la sua fiducia negli inquirenti a cui chiede di andare fino in fondo, arrivando a fare un appello: «Chiedo a chiunque sappia di parlare, di rivolgersi anche a noi, lo accompagnerò personalmente dal procuratore». Poi Marino torna ad attaccare i «ladri», invoca «punizioni esemplari» e si mette nei panni dei lavoratori e dei cittadini indignati per chi si arricchisce sulle loro spalle da dentro la cosa pubblica, chiedendogli fiducia per cambiare le cose: «Uno schiaffo in faccia alla città di Roma e alle persone oneste. Questo finirà: noi andremo avanti finché questa città potrà tornare ad essere orgogliosa di ogni angolo dell’amministrazione».
Questa proprio non ci voleva, di problemi già ce ne sono tanti a Palazzo Senatorio: lo scoglio del bilancio e lo spettro del commissariamento, l’iniziativa di governo immobile, le difficoltà tra Marino e il Pd ormai sulla bocca di tutti. Nonostante la determinazione e la verve alcune domande rimangono sul piatto, e a queste il sindaco non si può sottrarre. Come mai, se la vicenda era nota da anni, dopo sei mesi al governo della città Marino non ne sapeva nulla? Oltre a mettere mano ai vertici delle aziende, come si può pensare di non interrogare anche le segreterie del centrosinistra che avrebbero garantito questo sistema? «Io non ne ho la più pallida idea – risponde Marino – mi auguro l’estraneità della politica, la cui commistione è ancora da provare. Non faccio l’investigatore, appoggerò tutte le iniziative della magistratura ma mi fido della mia squadra di governo e degli uomini e le donne dei partiti che mi sostengono in consiglio comunale». Eppure l’inchiesta parlerebbe di un sistema illecito che avrebbe garantito una fetta della torta ai partiti di centrodestra e centrosinistra, e sarebbe sopravvissuto al cambio di governo e all’arrivo di Alemanno, aggiungendo posti a tavola per la nuova maggioranza.

Prende la parola anche l’assessore alla mobilità Guido Improta, che conferma, grazie alle verifiche interne all’azienda, come i fenomeni illeciti sui titoli di viaggio siano un ricordo del passato. Improta chiarisce poi che i procedimenti a cui si fa riferimento sono ben quattro, due contro ignoti del 2009 e del 2011 ancora in corso, e altri due aperti nel 2012, uno dei quali archiviato da meno di un mese vedeva coinvolti due dirigenti dell’Atac. In tutto 15 rinvii a giudizio (tre per dipendenti Atac) per truffa e falso; la richiesta di elezione di domicilio per altrettanti dirigenti è arrivata poche settimane fa. In Procura ieri il punto fatto in maniera congiunta tra pm e investigatori, con la partecipazione della Guardia di Finanza. Il vertice avrebbe deciso la convocazione a breve a piazzale Clodio delle persone coinvolte per ascoltarle.

Anche l’associazione dei consumatori Codacons si costituirà parte civile per difendere gli utenti del servizio pubblico, e non si placa la tensione dei lavoratori Atac: alcuni dipendenti hanno bloccato la commissione mobilità dove i segretari dei sindacati confederali stavano parlando degli ultimi scandali. I lavoratori li hanno contestati.