Licenziato l’assessore ai trasporti, azzerati i vertici dell’Atac, attualmente la più impopolare delle aziende romane (primato che contende al l’Ama, quella dei rifiuti), allontanati «i dirigenti responsabili delle inefficienze», ricapitalizzata e aperta ai privati. Ignazio Marino spiazza tutti con l’annuncio a sorpresa che dovrebbe, nelle intenzioni, far uscire la città – ma anche il suo governo – dalla palude di immondizia e paralisi della mobilità in cui è incagliata. Il sindaco di Romaprova a ripartire, senza aspettare la relazione di Angelino Alfano che deve decidere del commissariamento della città. Eventualità improbabile, ma dal Pd romano e dal Campidoglio nelle scorse ore è partito un messaggio informale all’indirizzo del Viminale: in teoria il ministro ha tempo fino a fine agosto per meditare la sua scelta, ma la città non può più aspettare per rilanciarsi. E così già il prossimo martedì il sindaco presenterà la nuova giunta, sempreché trovi «big e tecnici» (questa sarà la ricetta) disponibili a farne parte.

Intanto ieri è arrivata la prima mossa della «fase due» che il commissario del Pd romano Matteo Orfini ha spesso invocato. In mattinata Marino si è riunito con il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti e i vertici dell’Atac. Non invitato – a sorpresa – l’assessore (renziano) ai trasporti Guido Improta che, lo ricordiamo per gli incostanti della serie capitale, da tempo ha annunciato le dimissioni (precisamente dal giorno in cui Renzi ha detto a Marino di «stare tranquillo», un mezzo licenziamento a mezzo stampa), essendo poi pregato da Marino e da Orfini di rimanere almeno fino all’apertura della nuova fase. Dopo la riunione, durante la conferenza stampa, Marino lo licenzia: «Chiedo a Improta di formalizzare le dimissioni». Il sindaco chiede scusa a cittadini e turisti «per i disagi inaccettabili nel nostro trasporto locale», annuncia l’azzeramento del cda Atac, il mandato al presidente Micheli «di rinnovare profondamente management aziendale allontanando tutti i dirigenti responsabili causa di inefficienze», la ricapitalizzazione dell’azienda – la giunta aveva appena approvato l’assestamento di bilancio con un apposito accantonamento – e, dulcis in fundo, la sua privatizzazione, o quasi. «Insieme a Zingaretti abbiamo deciso che da oggi Comune-Regione-Atac si impegneranno a cercare un partner industriale mantenendo la maggioranza pubblica dell’azienda», «In questo modo anticipiamo l’avvio di un processo nazionale che impone di non gestire più il servizio in house a partire dal 2019». Alternative non ce n’erano, giura Marino, se non «portare i libri in tribunale e chiuderemettendo a rischio lavoratori e servizio».

La notizia esplode nella canicola della capitale. L’opposizione chiede, da copione, le dimissioni del sindaco. Ma alla maggioranza del Campidoglio, e al Pd in particolare, non sfugge la relazione stretta dell’accelerazione del sindaco con le parole che giovedì sera Renziha rivolto, con tono sprezzante, al primo cittadino di Roma, appaiandolo con Rosario Crocetta, presidente della Sicilia, altro amministratore impantanato: «Crocetta e Marino governino oppure vadano a casa». Nello stesso giorno era arrivata la stroncatura del New York Times al governo della capitale italiana: un danno inestimabile, un pessimo biglietto da visita per l’anno del Giubileo straordinario. Del resto la condizione della città è davvero ai limiti: le vie anche del centro impreziosite da montagne di rifiuti, treni e autobus rallentati, lunghe attese sotto banchine infuocate dal sole implacabile di questi giorni, convogli senza aria condizionata, che viaggiano con le porte aperte. Giovedì alla stazione Tiburtina un gruppo di passeggeri ha tentato di aggredire un macchinista che aveva un malore. La situazione rischia di andare fuori controllo.

Ma il cambio di passo è improvviso, clamoroso, Marino style. Improta ci resta male: «Marino ha avuto la possibilità di far concludere in modo leale e rispettoso la nostra collaborazione comunicandomi in giunta, o a margine di essa, di aver maturato la decisione di sostituirmi», e invece è stato «scorretto» perché «ha chiesto le dimissioni a mezzo stampa». Lorenza Bonaccorsi, luogotenente renziana della Capitale, boccia «l’improbabile scaricabarile» del sindaco e «le soluzioni pasticciate che rischiano di peggiorare la situazione dei trasporti romani». I sindacati (Cgil, Cisl e Uil insieme) preparano le barricate, dichiarano Marino «al capolinea» e la giunta «incapace di affrontare questioni complesse che riguardano tra l’altro la vita di migliaia di lavoratori». Il sindaco promette di incontrarli il 30 luglio e chiede ai lavoratori di aderire alla «rivoluzione» abbandonando «i vecchi schemi». Parole che non distendono il clima. Approva invece la scelta di aprire l’Atac ai privati Matteo Orfini, che butta acqua sulle polemiche interne: «Renzi e il Pd dovrebbero essere contenti, hanno chiesto a Marino di governare, mi pare che lui ci stia provando».

Ma è un azzardo per la tenuta della maggioranza. Perché, ad esempio, il radicale Riccardo Magi conferma un giudizio «molto negativo sull’operato di Improta» ma bolla di «vendetta politica» tutta la vicenda. E Sel, partner della coalizione – fin qui – è nettamente contraria all’ingresso dei privati in Atac. Ed è anche poco propensa a partecipare a una giunta, che dovrebbe essere varata martedì, in cui, come si annuncia, non avrà più il vicesindaco, poltrona a cui è candidatissimo un dem di polso come Marco Causi.