A tutti gli elettori che si preparano a votare per il Fronte nazionale, autogiustificando la scelta con la sola volontà di «dare un calcio nel formicaio» per scuotere il «sistema», un’affermazione di Marine Le Pen ha ricordato il retroterra ideologico immutato dell’estrema destra francese. «Penso che la Francia non sia responsabile del Vel d’Hiv» ha detto domenica la candidata del Fronte nazionale. Il 16 e 17 luglio ’42, la polizia e la gendarmeria francese hanno arrestato a Parigi più di 13mila ebrei (tra cui più di 4mila bambini), i celibi e le famiglie senza figli furono trasferiti a Drancy, gli altri rinchiusi al Vélodrome d’Hiver per essere poi tutti deportati a Auschwitz. Solo un centinaio sono sopravvissuti. «La Francia quel giorno ha compiuto l’irreparabile», aveva affermato Jacques Chirac il 16 luglio ’95, riconoscendo ufficialmente, per la prima volta, la responsabilità francese nella deportazione, che era già stata provata dagli storici. Poi, Nicolas Sarkozy e François Hollande, come già i primi ministri Lionel Jospin e Jean-Pierre Raffarin, avevano confermato questa ammissione. Marine Le Pen, ieri, ha tentato di giustificarsi, facendo appello a Charles De Gaulle e François Mitterrand, che avevano sempre sostenuto che «Vichy non era la Francia», cioè che la collaborazione era una «parentesi» nella storia del paese. Ma De Gaulle nel ’45 e Mitterrand nell’81 non erano ancora usciti dalla narrazione di una Francia vittoriosa nella seconda guerra mondiale, occupata dai tedeschi, su cui ricadevano tutte le responsabilità. La Francia non ha mai fatto una profonda analisi della propria storia, come è successo in Germania. Nel ’73, fu lo storico americano Robert Paxton, con il libro La France de Vichy, ad aprire gli occhi ai francesi, poi confermato da numerose altre ricerche storiche. Nell’83, Serge Klarsfeld, nel libro Vichy-Auschwitz, aveva citato Karl Oberg, capo della polizia tedesca a Parigi al momento del Vel d’Hiv: «Conformemente all’accordo che ho stabilito con Bousquet, la polizia francese agiva in modo indipendente». René Bousquet, allora segretario generale della polizia, conserverà un’ambigua amicizia con Mitterrand.

In Francia il passato non chiarito torna spesso sulla scena politica contemporanea. Ieri, Emmanuel Macron ha commentato: «Alcuni avevano dimenticato che Marine Le Pen è la figlia di Jean Marie Le Pen», che ha definito le camere a gas «un dettaglio della storia». Benoît Hamon ha aggiunto: «Se c’erano dei dubbi che Marine Le Pen fosse di estrema destra, adesso sono scomparsi».

Israele ha condannato le affermazioni di Marine Le Pen, «contrarie alla verità storica espressa da dichiarazioni di presidenti francesi che hanno riconosciuto la responsabilità dello stato nella sorte degli ebrei francesi periti nella Shoah». Marine Le Pen ha respinto tutte le critiche, «stop a questa strumentalizzazione indegna». E ha cercato un diversivo, puntando il dito contro «l’antisemitismo islamista», a partire da un fatto di cronaca recente (una donna, ebrea, è stata gettata dalla finestra a Belleville da un giovane musulmano, un episodio che ha suscitato enorme emozione, ma l’inchiesta per il momento ha solo stabilito lo stato psichico problematico del colpevole). Marine Le Pen si appella a De Gaulle e a Mitterrand, ripetendo la vecchia narrazione di «Vichy che non era la Francia», perché «la vera Francia era a Londra», ma lo fa nel 2017, confermando il radicamento ideologico nel pensiero dell’estrema destra. Marine Le Pen, in questi giorni in difficoltà nei sondaggi, fa così una manovra per consolidare lo zoccolo duro del suo elettorato, che ha potuto essere destabilizzato dalle avventure sul terreno sociale della candidata durante la campagna elettorale.