François Hollande ha invitato ieri alla Prefettura di Parigi i due candidati del ballottaggio, Emmanuel Macron e Marine Le Pen, per la cerimonia in onore del poliziotto Xavier Jugelé, ucciso nell’attacco terroristico sugli Champs Elysées il 20 aprile scorso. Un momento di unità, segnato dalle parole commoventi del compagno dell’agente assassinato, Etienne Cardiles, che ha evocato il suo «dolore estremo», ma – ha aggiunto – «soffro, senza odio».

Il momento di unità è durato poco, sono giorni di campagna febbrile. Emmanuel Macron si è rimesso in marcia, dopo un lunedì di assenza. Ieri ha visitato un ospedale, domani sarà nella sua città natale, a Amiens, ma nei quartieri operai, di fronte alla fabbrica Whirpool che chiuderà (290 posti di lavoro), per essere trasferita in Polonia, dove il costo della manodopera è più basso. Poi, continuerà nel Nord, le terre ormai conquistate dall’estrema destra. Marine Le Pen accelera, ieri mattina era ai mercati generali di Rungis (i più grandi d’Europa), per battere il chiodo della Francia popolare «che si alza presto». Il giro di Francia di Macron e Le Pen, per convincere chi ha votato altri candidati al primo turno e gli astensionisti (10 milioni, primo «partito»), oltre a consolidare l’elettorato già acquisito, non è solo una prova di stile: nessuno ha la vittoria in tasca.

I sondaggi continuano a dare Macron vincente. Il candidato di En Marche! accumula dichiarazioni di sostegno, ma provengono sempre dallo stesso mondo: l’ultimo in ordine di arrivo è Pierre Bergé, mecenate, imprenditore del lusso e cofondatore della società Yves Saint-Laurent. A Macron mancano le classi popolari. Un’inchiesta sugli elettori, presentata dalla Fondation sur l’innovation politique di Sciences-Po, è esplicita: tra chi guadagna meno di 1.250 euro al mese, il 32% ha votato Marine Le Pen, mentre la candidata del Fronte nazionale è stata scelta al primo turno dal 14% di coloro che hanno un reddito superiore ai 3mila euro. Per Macron le due cifre, identiche, sono rovesciate (i dati sugli introiti degli elettori di Le Pen sono invece comparabili a quelli dell’elettorato Mélenchon).

 

sinistra

Marine Le Pen ha scelto il terreno di scontro: sarà la battaglia tra la «mondializzazione» e i «patrioti» (la destra francese utilizza questo termine dalla fine del XIX secolo, abbandonando la parola «nazionalismo», ma anche Macron, in difficoltà su questo fronte, ha fatto riferimento ai «patrioti»). Macron è dipinto come il rappresentante della mondializzazione, dell’Europa, delle odiate élite, del «sistema», con la volontà di smascherarne l’immagine di «rottura» nei confronti della politica del passato che il candidato di En Marche! vorrebbe incarnare. Due France si fanno così fronte, opposte nei destini. Al primo turno, i candidati della «rottura» hanno preso il 45%. È su questa base che Marine Le Pen spera di superare il 50% al ballottaggio. Impresa probabilmente impossibile, ma che lascerà forti tracce per il dopo: Macron, se vincerà, dovrà costruire una maggioranza, che può rivelarsi introvabile. L’opposizione alla mondializzazione crea però un problema a Marine Le Pen, perché non solo un’ampia maggioranza dei francesi, ma anche una larga parte del suo elettorato non vuole uscire dall’euro. Cosa che fa dire al politologo Dominique Reynié di Sciences-Po, che sarà l’euro a evitare alla Francia di finire nella morsa del Fronte nazionale. Anche per questo, Le Pen ha spostato negli ultimi giorni l’asse della campagna sui «fondamentali» del Fronte nazionale: l’immigrazione e l’identità.

La spaccatura sociale, territoriale e anche generazionale che vive la Francia, in un contesto di banalizzazione dell’estrema destra, mette in difficoltà le prese di posizione del mondo del lavoro. La Cfdt, il sindacato riformista, avrebbe voluto una grande manifestazione unitaria per il 1° maggio. Non ci sarà. E ha invitato a «battere il Fronte nazionale e quindi a votare Macron».

La Cgt solo ieri si è limitata a dire di «non votare Le Pen», senza citare Macron. Una federazione Cgt ha avvertito: «Macron non avrà mandato per smantellare lo stato sociale e generalizzare la Loi Travail. Fo, invece, non darà indicazioni di voto.