Mi chiese di provare un velo da suora, e disse: «Lo sa che è incredibilmente fotogenica?». Pausa. «Lo so – risposi – Rise divertito» Così Marina Pierro, attrice, regista, icona erotica del cinema d’autore e corpo multi-linguaggio dove sensualità, surrealismo, pittura e psicanalisi si sintetizzano alla perfezione, racconta il suo primo incontro con Walerian Borowczyk nel ’78 durante la preparazione di Interno di un convento. Quest’ultimo – con Goto, l’isola dell’amore, Nel profondo del delirio e Regina della notte – sono il nucleo della rassegna «Dalla Polonia con amore» che la Cineteca nazionale dedica (a Roma, ancora oggi) all’eros d’autore polacco.
«Boro», coltissimo cineasta dell’eccesso, trovò incarnate nelle nobili fattezze di Marina Pierro le sembianze di un erotismo carico di feticci sessuali e filmici in un magico e oscuro accordo, come ci ha raccontato Marina.

Prima di conoscere Boro i suoi studi artistici spaziavano dall’esoterismo alla pittura, una sorta di terreno fertile preparatorio. Come ha agito nel vostro sodalizio artistico questa matrice comune?

Il nostro fu un incontro predestinato: Walerian amava la cultura italiana, l’architettura, la letteratura, la musica. Io avevo una passione assoluta per l’universo surrealista, la poesia di Rimbaud e Breton, il cinema di Bunuel, la fotografia di Man Ray. Ci accomunava anche un grande interesse per Freud e la psicanalisi, l’astrologia e il mondo esoterico e misterico di Gurdjieff o Helena Blavatsky. Ma soprattutto ci univa – lo scoprimmo lavorando insieme – la stessa concezione visiva del cinema, in cui convivono il fantastico e il poetico, il divino e il diabolico, e «l’étrange fascination».

In che misura lei contribuiva alla creazione dei film? Sto pensando soprattutto alle posture del corpo…

Walerian creava il personaggio che dovevo interpretare cercando in me quelle analogie che lui riscontrava rispetto al ruolo. Per esempio, Suor Veronica, ne Interno di un convento, doveva rappresentare l’esaltazione mistica e così mi chiese di pensare a qualcosa di estremo e folle. Gli proposi esercizi di yoga che praticavo in quel periodo e ne fu entusiasta. C’era una perfetta sintonia tra noi, intuivo subito qual’era il suo punto di vista e questo riguardava principalmente le espressioni del viso e i movimenti del corpo, che per lui erano l’essenza del cinema, molto di più, ad esempio. dei dialoghi che tendeva ad eliminare.

Molti film di Borowcyzk sono stati, nei singoli paesi, massacrati dalla censura. Come viveva questa violenza?

La prima reazione era spesso sarcastica del genere «Homme Ridicule!», poi subentrava il suo lato razionale e analitico. Diceva che la censura era lo specchio politico della società in quel momento, e che fra qualche anno quegli stessi censori, sotto la spinta di nuove correnti politiche falsamente tolleranti, avrebbero rivisto le loro posizioni relative al comune senso del pudore. Evidentemente non sbagliava. Solo che adesso i censori sono diventati veri servi delle lobby al potere. Borowczyk si trovò spesso in una situazione paradossale, per non dire grottesca. Per lui gli iniziali censori erano due: produttori e distributori. I primi durante la lavorazione cercavano in tutti i modi, spesso riuscendovi, di inserire scene hard (come per Interno di un convento, o Ars Amandi, ndr), i secondi facendo addirittura girare delle scene a un altro regista, per poi introdurle a loro piacimento. Ecco, forse se quei critici così pronti a infierire sui film del cosiddetto, da loro, «Maestro dell’erotismo», fossero stati meno superficiali e ignoranti, e si fossero documentati meglio sullo spessore culturale di Walerian, probabilmente i giudizi sarebbero stati altri. Adesso sono tutti così disinibiti che i veri film Pornografici, camuffati da film impegnati, passano al cinema e in televisione, osannati da recensori, alcuni gli stessi di allora, la cui ipocrisia asservita è pari solo alla loro meschinità. Nessuno si scandalizza più, forse perché sopraffatti dal brutto e volgare che impera. Walerian mi diceva che a volte essere i «primi» è una grave colpa agli occhi di chi non lo sarà mai.

Da «Regina della notte», fino alla morte, Borowczyk è praticamente sparito dalla circolazione. Come ha trascorso questi ultimi venti anni? C’erano altri progetti mai realizzati?

Tout disparaitra, questo è il titolo originale, fu l’ultimo film che diresse nel 1987 per sua libera scelta, ma diceva che sarebbe potuto essere anche il primo, in quanto per lui non contava l’ordine cronologico in cui un film era stato girato. L’opera di un artista nasceva tutta insieme, poi le circostanze della vita scandivano accidentalmente una data, che era ininfluente nella totalità dell’opera stessa. Si dedicò quindi a quelle creazioni libere da ogni vincolo e ingerenza da parte di altri: la scultura, la pittura, la scrittura. Di progetti ne aveva molti, alcuni noti, come Nefertiti, altri di cui conservo ancora i soggetti o le sceneggiature sono oggetto di approfondimento con aneddoti sorprendenti nel libro che sto scrivendo sul percorso artistico che ci ha uniti, dal titolo Ali d’inchiostro, che spero di terminare entro quest’anno.

Marina, perché non ha più recitato?

C’è sempre un momento in cui qualcosa raggiunge il suo apice, e lo sguardo volge altrove. Non ho mai inteso il mestiere di attrice come una serialità di apparizioni sterili come invece sempre più spesso accade. Non sento di aver abbandonato la recitazione, ho semplicemente valorizzato di più il mio punto di vista registico ma sarei pronta a tornare in qualunque momento per un vero film e con registi che fanno del loro cinema una visione personale e autenticamente sentita, Sokurov, David Lynch, Bela Tarr, per citarne alcuni.

Il suo cortometraggio da regista, «Himorogi», omaggia il cinema di Borowczyk con il ritorno degli oggetti-feticci del suo cinema spogliati da ogni tipo di narrazione classica

Himorogi nasce come una composizione haiku, una forma di verso della poesia giapponese composta da diciassette sillabe. Con la collaborazione fondamentale alla regia del pittore Alessio Pierro, che ha curato anche la scenografia e la fotografia nel film, abbiamo voluto rendere omaggio all’artista che ha creato un mondo onirico-visionario unico, restituendone una visione sulla genesi delle sue opere, insieme allo stretto legame con gli oggetti per lui animati al pari di un attore. Dare movimento a una figura disegnata in sequenza, far muovere l’oggetto con la tecnica della stop motion o dirigere l’attore erano la stessa cosa. A questo va aggiunto l’apporto musicale significativo del grande compositore francese Bernard Parmegiani, a scandire immagini evocative e fantastiche che diventano il vero nucleo narrativo dell’azione in un tempo immaginario. Diversamente accade nell’ultimo progetto filmico che sto realizzando, tratto da un racconto di Gustav Meyrink, dove la narrazione avrà uno svolgimento classico se pur in un contesto fantastico.

Cosa resta oggi del cinema di Boroczyk?

Rimane l’opera di un artista riconosciuto come uno dei più grandi registi di animazione, che ha lasciato un’impronta innovativa sotto il profilo della tecnica basata sul découpage con l’inserimento di elementi molto diversi tra loro (oggetti, litografie, foto, disegni) percorsi da un humor nero e surreale. Un’arte cinematografica che ha influenzato i lavori di Terry Gilliam e i fratelli Quay nel loro lavoro sull’animazione. Rimangono film come Goto, La Bestia, Nel profondo del delirio, che hanno illuminato l’immaginario collettivo, e portato André Breton a designare l’opera di Borowczyk come «l’imagination fulgurante»!