Un’altra struggente storia di identità femminile raccontata da Sebastian Lelio: dopo Gloria, cammino di autostima e indipendenza, si inoltra ora in un territorio più complicato con Una donna fantastica. Un amore felice, una vacanza in programma.
Orlando e Marina, lei cameriera e cantante in un night, lui che ha parecchi anni più di lei un giorno si sente male, barcolla e precipita giù dalle scale dell’appartamento dove vivono insieme. Trasportato all’ospedale, morirà e per Marina comincia una drammatica situazione. Il fatto che sia transessuale lo si scopre quando iniziano le indagini su quella morte un po’ sospetta. Nome? Daniel.

E tutta la famiglia da cui Orlando si è separato, fa fronte compatto per impedirle di assistere alle funzioni funebri, perfino all’ingresso al cimitero. Si sviluppa così un intreccio sempre più drammatico e nello stesso tempo intimo poiché il genere transgender di Marina (la interpreta Daniela Vega, una celebre cantante lirica transgender) si svela un po’ alla volta come a mettere lo spettatore di fronte a un essere continuamente flagellato per la sua condizione. E mette Marina stessa di fronte alla sua identità, forte e decisa, persona che non si lascia intimidire.

La messa in scena procede in modo che lo spettatore possa osservare ogni suo comportamento, ogni lato della sua persona, come il medico che scatta le foto del suo corpo, così come lei sembra interrogarsi specchiandosi nelle vetrine. E quando entra nel bagno turco frequentato dal suo compagno, con i capelli legati e l’asciugamano sui fianchi nessuno ci fa caso, è un ragazzo come tanti. Suggerisce quanto la femminilità possa essere lavoro incessante e faticoso .
Un turbamento lungo tutto il film coglie lo spettatore invitato a identificarsi, poi ad allontanarsi, a porsi le stesse domande che vengono formulate, a subire l’empatia suggerita dalla trama, a reagire di fronte alla mancanza di pietà.

«Daniel chi sei tu? quando ti vedo non so cosa vedo. Una chimera?» le dice la moglie abbandonata che cerca di mantenere una certa classe e non essere toccata dallo scandalo. Mostrarsi umana e lasciare che traslochi con calma sì, ma assolutamente non si faccia vedere alle funzioni. E quando lei osa farlo, tutti i maschi della famiglia la braccano e la colpiscono ferocemente, umiliandola. Parallelamente si suggerisce una sottile tematica edipica che racconta qualcosa del vissuto della famiglia di Marina che non viene svelato (uno della classe alta non tirerebbe di boxe come fa lei per scaricare lo stress).

Anche se non sono più i tempi di Palomita blanca quando Ruiz nel ’70 per la prima volta metteva in scena quel nodo ancora non sciolto della società cilena, si percepiscono i segni di un lento cambiamento. È un film che parla a tutti, ma è piuttosto interessante cogliere le aperture di una società piuttosto conservatrice, dove conta soprattutto il nome di famiglia e il vero scandalo non è tanto avere una relazione, ma averla con qualcuno di classe inferiore.