Il deserto come testimone che tutto sa e una voce femminile che si unisce a quella del vento che sposta le sue dune. Sono queste le immagini permanenti, scheletro di un graphic novel che è un viaggio musicale ma anche un lungo percorso di determinazione individuale e politica. Io sono saharaui narra la storia di Mariem Hassan, meglio conosciuta come “la voce del Sahara”, cantante saharaui che del proprio popolo ha tradotto in musica la lotta, personificandone il destino.

Il libro esce dalla casa della pisana Barta Edizioni proprio in questi giorni, ma i suoi autori Gianluca Diana, giornalista musicale esperto di blues e world music, e Andromalis (Andrea Malis) illustratore della scena underground romana, hanno già toccato, tra gli altri luoghi, anche il Book Pride di Milano, la libreria Giufà di Roma e il Senato della Repubblica.

Li abbiamo incontrati al Teatrofficina Refugio, lo spazio antifascista e autogestito di Livorno.

Gianluca Diana si imbatte nella storia di Mariem Hassan per caso, in Alabama, dove un attivista gli menziona l’orchestra saharaui El Huali e la sua cantante. Qualche mese dopo a Barcellona, in un negozio di dischi del Raval, trova Deseos, il primo lavoro solista di quella stessa cantante.

«Stregato dalla sua voce possente, nel 2013 invito Mariem al Mojo Festival, al quale io e Andrea lavoriamo insieme da oltre 10 anni-racconta. Nasce poco a poco l’idea che le interviste possano sfociare in un lavoro illustrato. Perché aldilà dell’innegabile valore musicale, della sua voce possente, di Mariem ci colpiscono subito il profilo femminile, decisamente inconsueto e anticonformista, il suo grande impegno per la causa saharaui, la sua lotta in difesa dell’identità di un popolo dilaniato dall’oppressore. Le sue capacità canore si esprimono a pieno nell’haul, una specie di desert blues sviluppato nei campi profughi, che tanto l’ha fatta apprezzare anche all’estero».

Nata alla fine degli anni ’50 nei territori già colonia della corona spagnola che nel ’75 sarebbero stati invasi ed occupati dal Marocco, Mariem impara a cantare dalla madre ed inizia ad esibirsi giovanissima con musicisti impegnati nella lotta in favore del RASD (la Repubblica araba saharaui democratica). Verso la fine degli anni ‘70 Mariem emerge come profilo solista da questo contesto, e la sua figura è già un crogiolo di storie avvolte nella melfa, il vestito tradizionale lungo 10 metri che è un segno di riconoscimento coloratissimo, portato con orgoglio.

Nella vicenda di un popolo oppresso, il punto di vista della sua portavoce musicale diviene esemplare.

Lo stesso Andromalis racconta: «Quello saharaui è un popolo che nessuno conosce e tutta la storia è piena di fuoriuscite violentissime: la prima la compie Mariem quando esce dalla propria infanzia, scappando di fronte al matrimonio imposto: esce dalla jaima di famiglia, ma non entra nella tenda del marito, scegliendo così di non appartenere a nessuna famiglia. È una ragazzina che ha scelto il suo destino senza saperlo. La seconda fuoriuscita è altrettanto violenta, perché è la fuga dall’oppressore marocchino, durante la Marcia Verde. Una fuoriuscita drammatica, che approda in una terra sconosciuta e inospitale, che non è più la propria, ma che si rinomina con i toponimi dei luoghi cari, ai quali non si farà più ritorno. Un paese parallelo, una terra che traduce il desiderio di quella abbandonata. La terza uscita Mariem la compie verso la Spagna, il paese dei colonialisti, dove si parla la lingua dell’oppressore, ma dove la sua carriera artistica troverà la massima espressione».

E le uscite, le fughe di Mariem, non si limitano alla traiettoria vitale, ma anche alla sua musica: «Uscire è anche non essere più se stessi. Mariem è stata sì la più grande interprete dell’haul, della musica tradizionale, ma forse proprio grazie alla sua traiettoria, a questo continuo reinventarsi, è riuscita a rendere l’haul qualcosa di estremamente originale, ad “uscirne”, stavolta consapevolmente. Nel momento in cui nasce una band rappresentativa di un pensiero di appartenenza, tutti possono suonare la musica tradizionale e può essere addirittura una donna a portare fuori dal Sahara la voce del deserto, la parola di un intero popolo».

Una grande storia di autodeterminazione e di “uscite” che provocano incontri: la cantante che abbandona a malincuore la sua terra, diviene coscientemente la rappresentante di un’intera cultura; si toglie- come ricordano gli autori- la melfa durante un concerto, travolgendo il pubblico con la forza della sua offerta, sventolando in un certo modo, la libertà della sua gente.

Sembra che questa libertà convogli direttamente nelle pagine del libro: se è vero che di graphic novel si può parlare, in Io sono saharaui non rimane traccia alcuna della struttura del fumetto tradizionale: nessuna griglia, pochissime nuvolette, il testo letterario appare sparso intorno ai disegni, come se inondasse le immagini, e sempre articolato in font diversissimi. «Si tratta di una scelta di militanza estetica- spiega il disegnatore. Ciò che si vede è la traduzione di un messaggio politico. Se i colori mi sono esplosi saturi dalle mani-in un tempo di minimalismo grafico, ideologico, sentimentale, che a me non interessa-c’è un perché».

Gli autori scelgono quindi un trattamento narrativo e grafico che è una reazione diretta alla rottura dei canoni già iniziata dalla stessa Mariem: «Probabilmente è proprio così- rispondono. Nella nostra esperienza è stato interessantissimo raccontare la storia di una donna islamica che a un certo punto, nel bel mezzo di un concerto, si toglie il velo. Ci è servito per leggere il nostro pregiudizio, capire come quel velo che consideravamo limitazione e sopruso divenisse autodeterminazione non soltanto nazionalista ma anche femminile, una vera bandiera psichedelica».

Nel libro i tre profili della cantante (quello musicale, quello femminile e quello della storia saharaui) avanzano di pari passo, incrociandosi nelle sabbie del Sahara. Una materia narrativa densissima alla quali gli autori hanno saputo fa fronte con originalità e onestà: «Una storia tanto complessa da farci chiedere da che parte cominciare- spiega Gianluca Diana- ma la ricchezza che emergeva dalle interviste rilasciate da Mariem, da quelle con il manager spagnolo, ci hanno convinto ad andare avanti. Abbiamo scritto 6 capitoli: ognuno ha il nome di un disco e tratta dieci anni della vita di Mariem. Poi c’è stato lo scoglio di avvicinare un lettore occidentale del 2016 al contesto storico e sociale del Sahara degli anni ’70 e ’80. C’è una tavola significativa che riporta il testo della canzone La melfa proprio sul velo. È la prima che abbiamo mostrato a Mariem che quando l’ha vista è rimasta un momento in silenzio e poi ci ha detto, “Ok, ma mettetemi l’henné sulle mani”. La buona disposizione di Mariem a condividere la propria storia, anche negli aneddoti, nelle piccole cose apparentemente frivole, così come la sua indole autorevole e allegra allo stesso tempo, ci hanno aiutato moltissimo ad uniformare il testo attorno alla sua figura».

E a fianco della voce di Mariem, virgolettata nel testo, ci sono altri narratori: la voce del Sahara in primis e il cammello e la capra, che fungono quasi da grilli parlanti: «Il cammello e la capra- precisa Andromalis- mi servivano per coprire una distanza, per favorire un incontro. Sono escamotage narrativi in seguito divenuti intermediari continui tra il pensiero della protagonista e il nostro…e in ultima analisi quello del lettore. Per quanto riguarda il deserto è una grande metafora di mobilità: ha visto tutto ma- parafrasando l’oceano della Ballata del mare salato di Pratt- non è detto che sia così deserto; la sua sabbia porta i segni del passaggio di genti, ma al tempo stesso è in continua trasformazione. A lui va la vera narrazione obiettiva, esterna e onnisciente, ma poi quando si compie la vera uscita di Mariem verso la celebrità internazionale, questa voce epica, quasi divina, non è più necessaria e il deserto scompare».

Nelle parole degli autori e dell’editore Io sono saharaui è stata una felice scommessa:

«Disegnare un fumetto su una storia così lontana da noi, dalla nostra linea dell’orizzonte dei desideri, è stata una bella occasione per misurarci con la narrazione. Abbiamo cercato di non cadere nel tranello dello sguardo del narratore del nord che si rivolge in modo anche affettuoso al sud e lo racconta. Rischiavamo di essere didascalici, anche nel tentativo di essere obiettivi, e questo avrebbe ucciso l’interesse del lettore. Il nostro intento è stato quello di far incontrare chi narra con chi è narrato in un territorio sconosciuto e nuovo per entrambi».

Un incontro che avviene, nonostante quel muro di 2700 km punteggiato di mine antiuomo e di posti di blocco costruito dal Marocco a partire dagli anni ’80 per difendere i territori espropriati ai Saharaui. Un incontro con un popolo che continua a resistere e a reclamare le proprie terre in un presente che dura da oltre 40 anni, non certo roseo, raccontato con grande posatezza e senza mai perdere il sorriso dalla musica di Mariem e oggi dal fumetto che ne racconta la vita.