Il caso dell’omicidio di Marielle Franco non sembra proprio dare tregua al clan Bolsonaro. A complicare ulteriormente la vicenda dei legami della famiglia con le milizie sospettate del crimine spunta ora anche l’accusa al presidente di ostruzione alla giustizia.

Tutto è iniziato con la deposizione del portiere del condominio Vivendas da Barra – lo stesso in cui Bolsonaro viveva a Rio de Janeiro con il figlio Carlos -, in base cui, poche ore prima del crimine, l’ex poliziotto Élcio Queiroz, sospettato di aver guidato l’auto da cui sarebbero partiti gli spari contro Marielle e il suo autista, avrebbe fatto ingresso nel condominio con l’autorizzazione di Bolsonaro, per incontrarsi con il poliziotto militare in pensione Ronnie Lessa, indicato come l’esecutore dell’assassinio (con il quale sarebbe di lì a poco uscito in macchina).

L’ACCUSA TUTTAVIA era stata subito smentita dal Pubblico Ministero di Rio de Janeiro, il quale aveva chiarito che la deposizione del portiere, secondo cui Queiroz avrebbe dichiarato di essere diretto all’appartamento n. 58, quello di Bolsonaro (per poi dirigersi invece a quello di Lessa al n. 65), non corrispondeva alle registrazioni audio in possesso degli inquirenti, dalle quali risulterebbe che sia stato lo stesso Lessa ad autorizzare l’ingresso di Queiroz. La voce proveniente dall’interno 58 che il portiere aveva attribuito a Bolsonaro non poteva peraltro essere la sua, dal momento che l’allora deputato si trovava a Brasilia, come confermato dai registri parlamentari. Sempre che il citofono del condominio non sia di quelli a cui è possibile rispondere con il cellulare (un dettaglio non ancora chiarito).

Ma di dubbi ne sono rimasti parecchi, a cominciare dal perché il portiere avrebbe mentito, annotando sul registro condominiale dati che avrebbero potuto essere facilmente smentiti dalle registrazioni audio. Né ha contribuito a chiarire la vicenda il fatto che il risultato della perizia relativa a tali registrazioni sia stato contestato dal sindacato dei periti criminali di Rio de Janeiro. E che la procuratrice che ha scagionato il presidente, Carmen Eliza Bastos de Carvalho, fosse una sua aperta sostenitrice, come emerso dalla divulgazione di foto in cui appare con magliette pro-Bolsonaro durante la campagna elettorale (divulgazione a cui è seguito il suo allontanamento dal caso).

Ma a rimettere tutto in gioco, con un nuovo clamoroso colpo di scena, è stato lo stesso Bolsonaro, il quale ha dichiarato, sabato scorso, forse per giocare d’anticipo rispetto alle indagini, di essersi appropriato delle registrazioni delle telefonate partite dalla portineria per paura che venissero contraffatte. «Abbiamo preso tutta la memoria della segreteria elettronica che è conservata da più di un anno, prima che fosse adulterata o che si tentasse di farlo. La voce non è la mia», sono state le sconcertanti parole del presidente.

MA SE LUI E LA SUA FAMIGLIA non avevano nulla a che fare con i principali sospettati del crimine, perché mai avrebbe dovuto mettere le mani su prove relative al caso di Marielle Franco? Una risposta destinata a rimanere inevasa.

Alla confessione presidenziale è ovviamente seguito un putiferio. Di «interferenza illecita nelle indagini finalizzata a tutelare interessi personali e familiari» ha subito parlato il gruppo Prerrogativas, formato da più di 300 giuristi, sollecitando l’intervento delle autorità. Mentre i parlamentari dell’opposizione Alessandro Molon e Randolfe Rodrigues hanno annunciato che depositeranno una denuncia per ostruzione alla giustizia contro Bolsonaro presso la Procura generale della Repubblica.