Marie Curie è, con il film dedicato al pittore Ligabue, l’altro «biopic» della settimana. L’idea dichiarata è quella di fare di questo dramma in costume un film attuale d’argomento femminista. La tesi degli autori è che la scienziata polacca, al secolo Maria Salomea Sklodowska, due volte insignita del premio Nobel rispettivamente in chimica e in fisica, sia stata d’avanguardia nella scienza, come tutti sanno, ma anche nella vita, cosa invece meno nota. Per dimostralo la regista tedesca Marie-Noëlle Sehr ha raccolto l’azione nei sei anni di vita della scienziata che seguono la morte del marito e collega nella ricerca scientifica. Dopo un periodo di lutto, Marie Curie si lega a un altro scienziato, Paul Langevin, a sua volta sposato. La relazione crea gran scandalo, aprendo un varco nel quale si insinua ogni tipo di odio, dalla misoginia al nazionalismo. Siamo negli anni 1910, la Francia è appena uscita dall’affaire Dreyfus (sebbene questo resti per decenni, e in fondo ancora oggi, il quadro morale di fondo di tutta la melma nazionalista dell’estrema destra francese). Il proposito è tutt’altro che meschino. Si tratta certo di sacrificare ogni velleità di divulgazione scientifica per concentrarsi sull’aspetto sentimentale. Ma più che per questa scelta, che per altro appare femminista fino ad un certo punto, è soprattutto il trattamento della materia a fare di Marie Curie un film poco riuscito.

NON È DETTO che un film debba per forza far suo il programma della propria eroina. Ma se l’idea era quella di raccontare la vita di una donna d’avanguardia, di una femminista ante-litteram, di una rivoluzionaria dei costumi sociali, il film è oggettivamente dei più conservatori. Somiglia a mille altri drammi mittel-europeei girati con l’audacia d’un episodio di Derrick. Schiacciato dal doppiaggio, il cast europeo (franco-bulgaro-belgo-polacco-russo-tedesco) non porta nulla di buono se non la sensazione di una operazione eurovisione su grande schermo.

L’ELEMENTO più disastroso è il ritmo della storia. In genere, il biopic è cadenzato da un lato dall’arco della carriera del personaggio e dall’altro da quello della sua vita privata, e dall’altalena prodotta dall’asincronico alto e basso di queste due linee. Marie-Noëlle Sehr cerca di cambiar strada, ma riesce solo ad appiattire entrambe, costruendo un muretto di scenette impilate una sull’altra. Marie Curie scopre questo, poi quell’altro, perde il marito, poi vede un altro uomo, incontra Albert Einstein ecc… Che si tratti di misurare il peso specifico di un atomo o della gravità di una scelta sentimentale, il film contempla la propria eroina con la stessa espressione meravigliata. Più che un film, Marie-Noëlle Sehr sembra aver voluto fare un t-shirt, sur quale scrivere: Marie Curie, che donna straordinaria! Il massimo dell’audacia è riservata al trattamento delle immagini dei materiali radioattivi, che inviano simpatici colori bluastri.