Dopo mesi di letargo, sembra proprio che Mariano Rajoy abbia finalmente preso l’iniziativa. Come aveva promesso, fra ieri e oggi sta prendendo un “primo contatto”, come dicono dalla sede del governo, la Moncloa, con i leader dei vari partiti. Ma per ora l’unico contatto trapelato è stata la telefonata con un partitino delle isole canarie, Coalición Canaria, che ha solo un deputato – che però potrebbe essere molto importante per costruire la maggioranza che serve al Partito popolare per superare lo scoglio dell’investitura a fine mese. La versione ufficiale dice che il socio preferenziale per Rajoy sarebbe il Partito socialista, con cui vorrebbe costruire una grande coalizione. Ma secondo il leader socialista Sánchez, Rajoy inizierà con chi gli è più “affine ideologicamente”, cioè Ciudadanos, che invece 3 mesi fa aveva raggiunto un effimero accordo di governo proprio con il Psoe.

È chiaro che nessuno vuole sporcarsi con un nome tanto problematico come quello di Rajoy. Anche Ciudadanos, che nella versione ufficiale sostiene di puntare a un accordo tripartito con Pp e Psoe, dice che il probabile primo incaricato di formare il governo invece deve parlare prima il Psoe. Ma, nel frattempo, si porta avanti, iniziando a riequilibrare il messaggio. Dice che «per ora» bisogna concentrarsi sui contenuti e non sui nomi – cioè quello di Rajoy, che è indigeribile come presidente anche per loro. «Se non si riforma la giustizia, la legge elettorale o non si fa un patto per l’educazione, non c’è nulla di cui parlare», hanno avvertito costruttivi, usando come esempi temi relativamente poco problematici. Ma all’interno del partito arancione non c’è ancora una linea chiara: c’è chi spinge per un accordo «di almeno due anni» con il Pp, come dice il portavoce al Congresso Juan Carlos Girauta, e chi invece difende la versione del patto a tre.

Ma ammesso e non concesso che l’accordo ci fosse, persino con l’impensabile condizione che il governo non fosse presieduto dall’appestato Rajoy, a Pp e Ciudadanos mancherebbero ancora 7 voti per raggiungere il fatidico quorum di 176 seggi. Il partito nazionalista basco Pnv, con cinque seggi, per ora non si è detto disponibile. Nella formula preferita dai socialisti (ma non dal Pp) entrerebbe anche il deputato canario di cui all’inizio e un secondo deputato canario associato al Psoe che potrebbe astenersi. Con una fragile maggioranza Rajoy potrebbe così iniziare la legislatura. Ma per ora sembra uno scenario ancora lontano.
D’altra parte è anche l’unico: il Psoe non ha mai risposto alla chiamata della difficile notte elettorale di Pablo Iglesias, per cui non sembra affatto intenzionato a prendere l’iniziativa per cercare di ribaltare la situazione. In questo secondo improbabile scenario, ritornerebbe in auge una formula fallita nella scorsa legislatura di far trovare qualche tipo di accordo, magari di desistenza, fra Psoe, Unidos Podemos e Ciudadanos. Il che oggi sembra impossibile, ma se Rajoy rimanesse impantanato chissà.

Intanto Podemos è impegnato a cercare di fare autoanalisi e capire cosa è successo. Il segretario organizzativo, il fisico ed ex europarlamentare Pablo Echenique, ha mandato una lettera ai circoli di Podemos in preparazione del Consiglio cittadino del 9 luglio in cui chiede il contributo di tutti per analizzare i fattori che potrebbero aver spinto il milione di persone a rimanere a casa. Anche Alberto Garzón di Izquierda Unida ha mandato una lettera ai militanti in cui, pur difendendo la validità della scommessa di convergere con Podemos, chiede una «riflessione seria e rigorosa» e dice che lui per primo non ha «saputo vedere con precisione che stava succedendo nell’elettorato di sinistra». Ma rivendica l’egemonia di Iu come «capacità di estendere una concezione alternativa del mondo, culturale e sociale, e per questo ancorata alla vita quotidiana delle classi popolari».

Il tutto mentre, magicamente, passate le elezioni la procura generale (Fiscalía) ha archiviato il dossier fantasma tanto agitato in campagna elettorale secondo il quale Podemos sarebbe stato finanziato illegalmente da Venezuela e Iran. Definendolo «un insieme disordinato» di ritagli stampa senza indizi che possano essere usati come prova, la procura getta nel cestino per l’ennesima volta un documento contro i viola preparato dalla Dao, la Direzione aggiunta operativa creata dal ministro degli interni Fernández Díaz, che ospita agenti dedicati a combattere le preoccupazioni politiche del governo.