La bandiera della Cgil ha una striscia di stoffa nera. Mariano Limotta era l’unico frequentatore della sede. Lo vedevo chino sul tavolo a scrivere poesie. Da pochi anni aveva scoperto la sua vena di poeta popolare. Anni senza popolo e senza partito. Il partito comunista dopo le infinite mutazioni non era più cosa sua. Gli era rimasto il sindacato, la sede intitolata a Di Vittorio nella curva di via Mancini, di fronte alla casa di quello che fu sindaco democristiano, senatore e perfino ministro. Al posto della Cgil c’era un falegname. C’erano tante cose, il paese non era ancora diventato il museo delle porte chiuse.
Mariano Limotta camminava sempre a piedi, con un passo urgente. Se si fosse seduto, il suo cuore non lo avrebbe portato a superare gli ottanta. Oggi pensavo alla foga che gli era venuta di farsi conoscere, di andare in televisione. Negli ultimi anni aveva tentato di partecipare alla Corrida e ovviamente si era proposto da Maurizio Costanzo. Via via che perdeva senso la sua militanza politica, le sirene del tubo catodico acquistavano potere su di lui.
Non c’era molta gente al suo funerale. Alla fine non era diventato un personaggio televisivo, era semplicemente uno dei tanti spiriti inquieti di cui un paese non sa che farsene. Il paese vuole che i suoi abitanti siano militanti dello scoraggiamento, col grembiule del rancore addosso. Mariano aveva una voce infantile e non aveva messo pancia. Quando viveva a San Paolo del Brasile era capace di alzarsi due ore prima dell’alba per raggiungere a piedi il suo negozio da barbiere. La sinistra a un certo punto non è riuscita a dire più niente a persone come lui. Bersani, Renzi e tutti gli altri, sono lontanissimi dalle figure sparpagliate di chi ha sempre creduto nel riscatto degli oppressi.
Mariano magari ha vissuto gli ultimi giorni aspettando ancora qualche risposta dalla televisione. Chissà a chi avrà scritto negli ultimi tempi. Certo non si aspettava niente dal congresso del Pd e nemmeno dai suoi dirigenti locali.
A un certo punto si è spezzato il laccio che teneva unite le persone sotto la falce e il martello. Da quel punto in poi, si sono aperte mille strade diverse fatte di opportunismi e deliri, di rassegnazione e amarezza.
La storia di questi giorni ci dice che il laccio non sarà Renzi, almeno per le persone come Mariano che ancora hanno il cuore nella storia comunista.
Bisogna essere delicati e attenti, almeno questo. E bisognerebbe scusarsi ogni giorno per il tradimento a una passione tanto grande. Forse i ministri del Pd dopo ogni incontro con Angelino Alfano dovrebbero andarsi a leggere una delle lettere dei condannati a morte della Resistenza. Forse è arrivato il momento di guardare indietro, di sfuggire alle mitologie del nuovo e della fretta. Il migliorismo di destra e di sinistra che governa l’Italia non serve a niente. Ci vuole una democrazia amichevole, locale. Una democrazia tenera, che sappia guardare alle sue radici, a gente come Mariano.
Essere partigiani dell’uguaglianza una volta dava piacere, dava una spinta. Oggi la questione non si pone neppure e questo di fatto svuota di senso l’idea di essere a sinistra. Forse il barbiere comunista queste cose le capiva per istinto. Non aveva bisogno di leggere Latouche per capire che il progresso non è la migliore delle nostre speranze. Forse il compito della sinistra non è dare risposte, ma fare domande radicali, chiedere, ad esempio, quali sono le speranze di chi diffida della crescita e dei suoi sacerdoti.