Con il volume Il Passaggio – l’incanata della collana I Quaderni dello sguardo (Postcart Edizioni, 2022), la fotografa napoletana Marialba Russo regala nuovi e suggestivi scatti realizzati nel 1979 su una montagna in provincia di Avellino ai confini con la Basilicata. Scatti che documentano i momenti diacronici di un rituale non solo di iniziazione, ma anche di prevenzione o guarigione delle ernie infantili. Il soggetto passivo è infatti un bambino completamente denudato che, aiutato e sollevato dagli officianti che possono essere i genitori oppure i compari, attraversa per tre volte un tronco tagliato in due, senza farlo spaccare altrimenti il rito non può avere seguito. Ciascuna passata viene accompagnata da un urlo lanciato dagli officianti che dissimula l’entrata e l’uscita dal ventre materno. In tal modo s’instaura una simbiosi tra l’uomo e la natura, nel caso specifico tra il bambino e l’albero, tant’è vero che la sua iniziazione, prevenzione o guarigione saranno fortemente e indissolubilmente legate alla ricomposizione del tronco dell’albero.

Le foto della Russo ritraggono con minuzia il modo in cui il tronco non presenterà più alcuna fenditura: lo si avvolge e stringe con il filo di ferro e si pone su di esso un’immagine della Madonna o di Santi, a seconda del luogo in cui si svolge l’incanata. Questo rituale arcaico e apotropaico, appartenente alle classi rurali e subalterne, col passar del tempo sembra vada sempre più scomparendo, proprio come «le lucciole» di pasoliniana memoria. È interessante evidenziare come ciascun luogo presenti o presentasse le proprie varianti al riguardo. A Pescopagano, in provincia di Potenza, per esempio il rito si svolge il 25 marzo, festa della Madonna Annunziata, perché secondo una leggenda avrebbe guarito alcuni bambini malati di ernia. A Baragiano, sempre nel Potentino, invece coincide con il Lunedì in Albis; qui la passata è accompagnata dalla formula «Tecche, cumpà. Tecche cummà» («Prendi, compare. Prendi, comare»).

A Sant’Anastasia, nel Napoletano, il cerimoniale viene celebrato al tramonto, solo nella stagione autunnale, tutti i giorni escluso il martedì reputato giorno infausto; l’officiante deve essere il più anziano del paese e recita preci in onore di San Ciro congiuntamente a formule segrete trasmessegli oralmente, che a sua volta trasmetterà in punto di morte a un altro anziano. A Tropea, in provincia di Vibo Valentia, avviene una notte di venerdì nel mese di marzo; i genitori fanno passare il bambino attraverso una quercia spaccata in due e recitano questa formula «Sana, sana la guaddaredda/come sana la cascaredda» (Risana, risana l’ernia/come risana il querciuolo) oppure quest’altra «Cerza sanandu/vajara passandu» (Quercia sanando/ernia passando). In Sardegna, nella tradizione logudorese l’incanata, detta infekidura (innesto), viene praticata nella notte di San Giovanni Battista, il 24 giugno, e officiata esclusivamente da uomini, che fanno passare il bambino attraverso la fenditura di un albero di fico selvatico.

È un rituale che non riguarda solo il nostro Paese, ma anche il resto d’Europa. In Germania, ad esempio, nella regione di Meklenburg il rito si svolge il 23 giugno, vigilia della festa di San Giovanni Battista; tre uomini di nome Giovanni fanno passare il bambino attraverso l’albero scisso in due. In Russia, invece, nel distretto di Pronsk gli infanti sono introdotti per due o tre volte nel foro di una quercia, che al termine del rito verrà legata con una cintura. È fondamentale specificare che i raffronti e i dettagli sull’incanata si basano sulla ricerca sul campo compiuta tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta dall’antropologo e storico delle religioni partenopeo Alfonso Maria di Nola (1926/1977), che così li definisce: «Una serie di dati apparentemente peregrini (…) si ripropongono come un linguaggio cifrato che sottende un problema essenziale delle società antiche: l’assicurare ai maschi il vigore sessuale generazionale, sottraendoli al rischio di un’impotenza coeundi o generandi che metterebbe in crisi la funzione della prolificità». È dunque un rito magico con cui si vuole scongiurare l’apocalittico monito demartiniano del non-esserci nella storia. Con tale ricerca fotografica che non manca di sguardo antropologico Marialba Russo, non nuova a simili indagini, ci immerge in un rituale contadino di cui, sebbene lo sfrenato capitalismo provi a cancellare le tracce, persiste nella memoria collettiva «come una scheggia dell’altra storia, non più nostra», citando Pasolini.