«Il dono più grande della musica è la musica stessa», ha detto Pietro De Maria, lo scorso 23 dicembre, nel corso di una puntata di Radio3 Suite dedicata a festeggiare i novant’anni di Maria Tipo, nata appunto il 23 dicembre 1931. Non si può dire meglio. Il dono della musica è la musica, come della poesia la poesia, della pittura la pittura. Certo che raccontano di noi. Ma ci raccontano come musica, come poesia, come pittura. Cercare significati fuori da questi campi è dannarsi a non trovarli o a trovare oggetti che con la musica, la poesia e la pittura hanno poco o niente a che vedere.

Ecco allora che quattro pianisti, che sono stati allievi di Maria Tipo – gli italiani Andrea Lucchesini e Pietro De Maria, il brasiliano Ricardo Castro e l’argentino Nelson Goerner – si riuniscono e suonano per lei. Il programma, meravigliosamente combinato, e presentato da Oreste Bossini, prevedeva brani giustamente famosissimi, che coprono circa sessant’anni di musica: dalle due sonate mozartiane del 1773 a quattro mani K. 381 e del 1783 con il rondò alla turca K. 331 alla quarta Ballata di Chopin del 1843. Tra questi estremi la sonata op. 25 n. 5 di Muzio Clementi, del 1790, la sonata op. 27 n. 2 «Al chiaro di luna» di Beethoven, del 1801, e la Fantasia in fa minore D 940 di Schubert, del 1828, tra le sue cose più cupe. Di fatto una musica che ruota intorno alla costruzione musicale classica (compreso Chopin).

Il concerto si è aperto con una sonata, quella con la marcia turca, della quale nessun tempo è in forma di sonata. Si apre, infatti, con un tema e variazioni. Sarà di modello a Beethoven per l’op. 26. Il fatto è che tutte le forme musicali, da Haydn allo stesso Chopin, in fondo, sono concepite con la logica di una costruzione sonatistica. Per di più, i brani scelti per la trasmissione, ruotavano attorno a campi armonici vicini. Coincidenza o scelta consapevole, l’impressione era che l’omogeneità interpretativa di ogni pagina s’inserisse in una omogeneità musicale della serata, tutta tesa a cercare tra le pagine una sottile affinità. Il rigore con cui si deve affrontare la pagina da interpretare, infatti, parte proprio dall’analisi della sua struttura armonica. Solo a questo punto può intervenire la libertà dell’interpretazione. La lezione di Maria Tipo proviene dalle scuole di Busoni e di Casella, attentissime alla costruzione formale del brano, ma una volta penetrata la sua struttura musicale, la pagina è interpretata con l’intelligenza dell’oggi, come una pagina contemporanea.

Potranno saltare sulla sedia i patiti della lettura «storicamente informata», ma dovranno arrendersi al fatto che anche questa è una lettura legittima: leggere il passato come fosse un oggi. Illuminante, in questo senso, avere introdotto la trasmissione con quattro preludi di Debussy interpretati dalla stessa Maria Tipo, in un concerto tenutosi a Locarno nel 1989. La figlia, la violinista Alina Company, ha mandato un messaggio di ringraziamento, che Oreste Bossini ha letto. Maria Tipo ascoltava commossa la trasmissione, e ringraziava i pianisti. A ragione: ciascuno, a suo modo, ha dato esempio di cosa possa essere una lettura rigorosa della pagina reinventata con sensibilità e libertà di oggi. Come dimenticare, di questa serata, l’irresistibile cantabilità dell’andante della sonata a quattro mani mozartiana eseguita da Castro e Goerner, o il dolore inconsolabile, disperato, si direbbe leopardiano, del canto in cui Schubert nella fantasia in fa minore affonda l’ascoltatore, così splendidamente suonata da Lucchesini e De Maria.