In quell’interstizio della storia, tra armistizio e liberazione, si situa la storia potente e dolce che ci regala Silvia Meconcelli con il romanzo Pazze di libertà (Alter Ego edizioni, pp. 172, euro 14). Maria la protagonista si risveglia alle cose grazie all’amore per un resistente giovanissimo, Lucio. Lei, figlia di un pezzo grosso del regime, sorella di un perverso fascista e allevata da una madre vacua e anaffettiva, segue nei granai e nelle colline di grano, negli anfratti, la tensione per il mondo nuovo di un ragazzo figlio del proletariato che sogna, negli anni più bui, la libertà e l’eguaglianza. E non si limita a sognarla, ma ad agirla, sopportando le rappresaglie, il dormire come «frutti marci all’aperto» nei caotici giorni della guerra civile dopo il governo di Badoglio.

MARIA APRE GLI OCCHI sulle cose, guarda l’ottusità della sua adolescenza passata accanto a chi il male lo faceva, sceglie di stare con chi il male lo combatte, nella traccia di un manicheismo che colora le biografie in occasione dei grandi drammi collettivi. Comincia a fare la spia al suo compagno e ai suoi compagni su quello che avviene nella sua famiglia. Rimane incinta e il padre la scopre. Per evitare lo scandalo e mettere fine alla delazione la rinchiude in un manicomio.

COMINCIA QUI L’INTRECCIO di oppressioni che fanno intendere verità sottili: il fascismo collima con la violenza patriarcale che sul corpo delle donne si sa abbattere con una forza sconcertante. Maria comincia il suo viaggio osceno nel reparto delle alterate, legata al lettino ogni qual volta chiedeva con veemenza perché stesse lì, ignorata dai medici che quando funzionano da dispositivi della repressione, sono due volte feroci, venendo non solo meno al loro giuramento di cura ma determinando l’avvio del processo patologico dell’estraneazione e della depressione. Volti di donne consumate dai traumi della violenza fisica e morale, l’assenza totale della compassione in questi istituti che furono nella realtà gabbie di ferocia (si ricordi il rogo al letto di contenzione di Antonia Bernardini raccontato in Storia di Antonia, viaggio al termine di un manicomio di Dario Stefano Dell’Aquila e Antonio Esposito). Maria uscirà viva da quell’esperienza grazie al sacrificio di una sua compagna, tormentata dalle visioni dei fratelli morti uno dopo l’altro in guerra. Grazie alla dolcezza di una infermiera che tesserà instancabilmente il labile legame che la teneva ancora aggrappata alla realtà, regalandole libri e fiducia.

GRAZIE ALLA FIGLIA che ha in grembo, che è orizzonte e futuro. Grazie a Iole, militante partigiana che unisce alla lotta contro l’oppressione politica quella contro l’oppressione dei generi, lei che si scopre omosessuale nei tempi della seconda guerra mondiale. E grazie alla tata Ines, che morirà collaborando all’operazione di liberazione che Lucio e i suoi compagni compiranno contro la famiglia che l’aveva segregata. Perché quando la libertà trova l’amore diventa una macchina invincibile.