Esce il nuovo, atteso e sofferto album di Maria Pia De Vito: core/coração (Jando Music/Via Veneto Jazz) che viene presentato stasera al Blue Note di Milano. Tredici canzoni soprattutto di Chico Buarque e di altri «giganti» della Musica Popular Brasileira (Antonio Carlos Jobim, Vinicius De Moraes, Guinga, Egberto Gismonti…) sono stati tradotti dal portoghese al napoletano dalla vocalist, lavorando fianco a fianco con gli autori, canzoni che acquistano una doppia e policroma cittadinanza sonora. Lavoro quanto mai transculturale, core/coração è stato registrato tra Roma e Parigi, con Buarque ospite in due titoli (Todo sentimento ed O Meu Guri), Huw Warren al piano, Gabriele Mirabassi al clarinetto, Roberto Taufic alla chitarra, Roberto Rossi alle percussioni e l’Ensemble Vocale Burnogualà, fondato dalla De Vito che abbiamo intervistato.

Ci puoi raccontare la tua esperienza con la musica brasiliana negli ultimi dieci anni?

Il mio interesse nasce dalla passione per la musica brasiliana – molto stimolante armonicamente – che tanti jazzisti hanno e da un mio amore giovanile per Chico Buarque, quando viveva in Italia ed i suoi brani venivano tradotti come Costrucao (non a caso messo in apertura dell’album, ndr), che è stato un po’ il mio battesimo con la musica brasiliana. Nel 2006 l’associazione Napoli-Bahia mi invita a produrre un concerto incentrato sul rapporto tra le due città alla ricerca di prossimità. Mi fu menzionata una frase di Caetano Veloso: «Il popolo bahiano e il popolo napoletano si assomigliano perché sono popoli impertinenti»… Io ho preparato un recital e l’ho portato a Bahia con Nelson Veras, geniale chitarrista bahiano trasferitosi a Parigi e molto amato da Pat Metheny. Insieme abbiamo suonato con tre musicisti bahiani: stando lì una decina di giorni ho raccolto materiale e conosciuto la musica di Dorival Caymmi che mi ha fatto impazzire. Le sue «praieras» potevano essere cantate, che so, da Roberto Murolo: sono canzoni dalla melodia universale.

Da quell’esperienza bahiana mi sembra che il tuo interesse per il Brasile si sia fatto permanente ed esponenziale…

Nel 2007 ho incontrato Huw Warren e suonato insieme su territori comuni tra cui il Brasile. Mi ha fatto conoscere meglio Hermeto Pascoal, io gli ho proposto testi in napoletano su brani suoi e Beatriz (di Buarque ed Edu Lobu) in portoghese.

Nel frattempo hai lavorato con Guinga, nel 2010, e poi è nato il rapporto con Chico Buarque.

Guinga lo avevo già conosciuto tramite Gabriele Mirabassi, preziosa fonte di informazioni sul Brasile. Ero affascinata dalla musica di Guinga e lui mi ha chiamato chiedendomi di suonare insieme in luglio al festival capitolino di Villa Celimontana. Nelle prove gli ho proposto frasi vocalizzate in napoletano: lui è impazzito. In una settimana ho scritto i testi di otto brani ed abbiamo fatto il concerto romano; poi Guinga mi ha portato in Brasile e mi ha molto incoraggiato, come l’accoglienza che lì ho ricevuto. Visto che avevo tradotto Você Você in napoletano, pezzo di Guinga con liriche di Chico Buarque, pensai che c’erano tanti brani bellissimi tra cui Olha Maria; così mi è venuta fuori la traduzione. L’ho presentato a Buarque insieme a quella di Voce Voce, scrivendogli direttamente in italiano che ben conosce essendo stato a più riprese nel nostro paese in esilio e da bambino, con il padre diplomatico. Abbiamo in tal modo cominciato un lavoro di traduzione dal portoghese al napoletano che continua ancora adesso in cui, insieme, pesiamo le parole, le virgole … Per me è un’esperienza stupenda, un rapporto epistolare segnato da un amore «furibondo» per le parole di Chico Buarque. Nel frattempo Guinga mi ha chiamato a registrare con lui l’album Porto da madama, dove arrangia brani della tradizione brasiliana per quattro cantanti: Monica Salmaso, Maria João, Esperanza Spaulding e me stessa. Il disco è stato presentato con quattro concerti a San Paolo nel settembre 2015. Il «materiale brasiliano» è diventato tanto e lavorarci sopra mi attrae sempre più. La mia lettura è sempre un po’ «aerea», rispetta profondamente il senso della composizione e della poesia ma si permette anche qualche libertà.

Seguono la tua partecipazione all’omaggio ad Ivan Lins del gruppo Inventario e varie versioni di «Sarau»: sul Vesuvio con Roberto Taufic ed Enrico Rava. Come spieghi, comunque, che un così nutrito gruppo di jazzisti italiani, di cui sei «alfiera», è entrato in rapporto sinergico con il repertorio e direttamente con i musicisti brasiliani?

Intanto avere a che fare con i brasiliani è avere a che fare con un concetto fondante nel loro modo di lavorare che è la «parceria»; significa quando ad esempio Edu Lobo e Chico Buarque producono delle cose insieme. Questa è pratica usuale in Brasile: c’è un grande scambio lì, è molto diffuso un generalizzato senso di partecipazione. Inoltre cercando la cantabilità, la melodia, l’improvvisazione, diciamo che la musica brasiliana offre un campo infinito di ricerca, anche dal punto di vista ritmico. In un momento in cui nel jazz è diventato ancor più legittimo, anzi necessario, il guardare ad orizzonti sempre più vasti, collegati alla pratica dell’improvvisazione – uscendo dalla sola matrice afroamericana – il Brasile è un terreno di grande ricerca.