Esausta, forse febbricitante, quasi in trance: è in questo stato che María Liberati si presenta al commissariato, di fronte all’agente Santini, incaricato di prendere nota della sua confessione, insieme a un collega e alla dottoressa Vitale che, con il suono basso della voce femminile, ha il compito di far svaporare i fantasmi e ricondurre chi parla alla realtà, senza tremori.

Lui, però, il catturatore di storie, l’assemblatore di puzzle sparsi – proprio come accade ai romanzieri – intuisce qualcosa in più di quella donna stremata; ne percepisce l’umidità dello sguardo, la immagina puerpera. Lei ha un delitto da portare in quella stanza – non il suo, ma l’opera crudele di un marito violento. E quel «voler dire» si trasforma anche nel racconto di una vita (la sua) sperperata tra sogni e cadute rovinose, snodandosi in un continuo andirivieni di tempi che si intrecciano, qualche volta si perdono nel ricordo, altre tornano al presente, inchiodando l’infelicità negli occhi di tutti.

Nadia Fusini torna alla narrativa con María (Einaudi, pp. 136, euro 13), il cui nome è già un archetipo sacrificale per molte donne, ma qui la protagonista ribalta il suo destino di invisibilità e dolore: il marito ha ucciso il giovane innamorato della sua stessa amante Rosalia, ma soprattutto ha tolto a lei il figlio nato da poco. È su questo amore di madre che farà leva per la confessione, innescando una ricerca della verità che la riporterà prima a ritroso, nei luoghi della sua infanzia, poi in avanti, verso la libertà e un nuovo inizio. Lo farà narrando come una sonnambula lacerti del passato, ma anche scrivendo su un diario segreto che spedirà al poliziotto empatico.

A quel Santini cui l’autrice ha consegnato la funzione del romanziere: tessere i fili per restituire a chi legge una trama intellegibile. E anche quando María sarà ormai lontana, quando la sua vicenda si sarà conclusa, lui non riuscirà a lasciarla andare, ad abbandonarla al suo ritmo quotidiano. Vorrebbe ritrovarla, saperne di più, magari abbracciarla, immaginare sviluppi futuri. Vorrebbe frugare lì dove la letteratura e la fine di un libro riconsegnano i personaggi al mondo e loro se ne vanno per inedite strade, indifferenti verso chi li ha generati.