«È rimasta soltanto l’emozione che provai. Uno sguardo profondo e imperioso sotto il bellissimo arco dei sopraccigli, il naso importante, leggermente arcuato. Qualcosa di improvvisamente crudele negli occhi scuri, o forse nelle labbra, non generose». Roma nell’inverno del 1942. Mesi di guerra. «Un giorno, un giorno speciale, incontrai Luchino Visconti di Modrone. Per quanto mi sforzi, non riesco a ricordare dove avvenne, né chi c’era intorno a noi».

Dieci anni prima, nei viali di Villa Borghese, il regista Pietro Francisci nota una sedicenne a passeggio con la madre. Nel giro di due anni la studentessa Maria Beomonte, di buona famiglia borghese, diretta da Amleto Palermi, Raffaello Matarazzo, Alessandro Blasetti, diviene una diva del cinema tra le più amate. “Sono stata un’attrice famosa e, dicono, bella, col nome d’arte di Maria Denis”, scriverà in Il gioco della verit» (Baldini & Castoldi, 1995). «Avvertii subito il magnetismo di quell’essere. Visconti era un uomo dallo charme eccezionale, un viso bello, una vasta cultura, mai artefatta, i modi delicati. Non era possibile non lasciarsi coinvolgere». Maria ha 26 sei anni. Una vita sentimentale sobria, fatta di indugi e di riservatezza, che non ha trovato ancora il suo esito. Si innamora di Luchino. «C’era fra noi qualcosa di unico, raro, anche se la nostra storia, chiamiamola così, poteva dirsi anomala, per nulla al mondo l’avremmo troncata».

Alla fine del 1943 Visconti entra nella cospirazione antifascista. Clandestino, affida alla responsabilità di Maria la sua villa di via Salaria: «Mi dette le chiavi di casa e la facoltà di ritirare soldi dalla sua banca: avrebbero potuto servire a lui o a qualcuno dei suoi compagni». In marzo, Visconti viene arrestato. Maria è prelevata nella sua casa e portata alla pensione Jaccarino. Viene interrogata da «un uomo giovane, sotto i trent’anni, bruno, molto alto, occhi scaltri e pungenti con una punta di cattivo dentro; porta i baffi sopra due labbra sottili». La accusa di collaborare con le forze partigiane che hanno organizzato l’attentato di via Rasella. «Il suo amico è nelle nostre mani» le dice. E poi, rivolto all’attrice famosa e, dicono, bella, con una scatto violento: «Una persona come lei invischiata con il Visconti! Uno capace di perversioni aberranti! Non voglio credere che lei si commuova per un uomo che disprezzo profondamente!». Chi parla è Pietro Koch, il crudele capo della squadra di polizia fascista che semina il terrore a Roma. Maria è rilasciata. Da quel momento Koch la circuisce di una corte assidua. Consultatasi con la sorella di Luchino, Uberta, Maria comprende che potrebbe esercitare la sua influenza su Koch per salvare Visconti.

Entra così in un gioco difficile, arduo, la posta del quale potrebbe essere terribile. Pure si dispone, per Luchino, a condurre la sua recitazione più improba. Il giovane Koch vuol mostrare di sé alla donna i lati degni, quelli che nel suo animo egli crede di conservare nobili. Corteggia Maria al fine d’essere compreso, accettato da lei. Mai eccede i modi di una stereotipa galanteria. Cerca forse in quel corteggiamento un ristoro meno fittizio alle nefandezze della sua vita. Poi per attestare, con un gesto inequivocabile, la nobiltà del suo sentire, libera l’uomo per amore del quale lei ha consentito a lui di corteggiarla pubblicamente. «Visconti è salvo, le dice, l’ho fatto mettere a San Gregorio, sotto il falso nome di Guidi». Di lì a poco Koch si trasferisce a Milano.

Il 3 giugno Visconti lascia il convento di San Gregorio. È in via Salaria tra gli amici che lo festeggiano. C’è Maria. Come sei riuscito a salvarti? gli chiedono. «È stata mia sorella Uberta, lei, che si è impegnata a fondo per salvarmi». Scrive Maria: «Ho una stretta al cuore. Sono annientata. Tutto mi crolla attorno». Il 4 giugno del 1945 Koch viene processato a Roma. Visconti è tra i testimoni. Tace che deve a Koch la sua salvezza. Anzi lo accusa: «ordinò che mi si fucilasse entro la notte». In ogni caso Koch è condannato a morte. Il giorno dopo a Forte Bravetta viene eseguita la sentenza. Scrive Maria: «Esistono di quella fucilazione poche sequenze cinematografiche, sfocate e drammaticissime. L’esecuzione è stata filmata da Luchino Visconti».