Passano gli anni e il mito di Maria Callas resiste, ancora ammantato da un sense of glamour molto più potente di quello delle star onnipresenti sulle pagine dei rotocalchi, cartacei e digitali. Un mistero che va oltre la sua arte, la sua voce, la sua musica, il suo essere «La Callas». Un mistero costruito con le armi dell’arte, dell’amore e dalla forza di volontà, diventato anche glamour quando viene vestito da Elvira Leonardi, la sarta milanese nota con il nome di Biki, nipote acquisita di Giacomo Puccini.
Da qualche giorno la Warner Classics ha distribuito in tutto il mondo un cofanetto con 69 cd delle incisioni in studio di Maria Callas, rimasterizzate dalle registrazioni originali con la ipertecnologia 96kHz 24-bit. Callas Remastered: The Complete Studio Recordings si ripromette di farla ascoltare come non è mai stata ascoltata prima. Maria Callas è morta il 16 settembre 1977, 37 anni fa a 53 anni, ha smesso di cantare del tutto nel 1965, 49 anni fa a 42 anni, ma gode ancora di una notorietà planetaria. L’unica spiegazione di questa eccezionale sopravvivenza è nel suo essere Diva, nel senso più autentico del termine: diva proviene dal latino divus/diva (e cioè divino in italiano), un recupero del Theós greco che non era il nome del dio ma la manifestazione del divino.

Diva è una definizione che nasce proprio sui palcoscenici dell’opera classica, almeno fin dai tempi di Isabella Colbran (la prima donna di Gioacchino Rossini) e alla sua nascita non è indifferente l’idea di glamour, perché per essere diva non basta avere una bella voce, essere un’innovatrice, essere una musicista che usa l’ugola come strumento musicale, avere doti di recitazione superlative. Insomma non sarebbe bastato a Maria Callas essere quella che è stata musicalmente e sui palcoscenici dei teatri, non le sarebbe bastata essere una delle migliori interpreti delle regie di Luchino Visconti alla Scala o entrare con l’espressione vocale nella tragicità dei personaggi a cui dava voce se non fosse stata portatrice di glamour, proprio come le statue delle dee greche e anche romane.

Maria Callas non era destinata a questo ruolo. La sua nascita a New York il 4 dicembre del 1923 in una famiglia greca non le consentiva, nonostante le doti canore. Con addosso 90 chili, il suo arrivo in Italia nel 1947 per una Gioconda di Ponchielli diretta all’Arena di Verona da Tullio Serafin le poteva aprire soltanto le porte dei teatri più famosi, ma non quelle della divinità. Anche il suo «sbarco» alla Scala nel 1951, con I vespri siciliani di Verdi e la bacchetta di Victor De Sabata, con già una folla di appassionati a seguirla e trenta chili di meno addosso, non aveva in sé il miracolo successivo. La cantante rimane regina della Scala per 11 anni, durante i quali interpreta 23 ruoli diversi in 182 recite. Ed è in questi anni che si compie il miracolo.

A Milano, dove si è stabilita con il marito, l’industriale veronese Giovan Battista Meneghini, aiutata dalle amiche, soprattutto dalla giovane contessa veneziana Carla Nani Mocenigo, comincia a frequentare l’atelier di Biki. Siamo negli Anni ’50 di un’Italia acerba, la moda si fa a Parigi e in Italia si copiano i cartamodelli. Biki è il nome d’arte di Elvira Leonardi, figlia di Fosca Geminiani, a sua volta figlia del primo matrimonio di Elvira Bonturi, la compagna di Giacomo Puccini. Un intreccio tra musica e moda che influenzerà la Milano del periodo fino ad arrivare alla proprietà del Corriere della sera, quando Fosca sposerà Mario Crespi, proprietario del quotidiano milanese. Biki, che è la prima sarta italiana a fare moda senza i cartamodelli perché chiama a lavorare per lei lo stilista francese Alayn Reynaud rubandolo a Jacques Fath, conosce Maria Callas nel 1951 a casa di Arturo Toscanini. Viene colpita dalla «sciatteria con cui si veste» e si offre volontaria come sarta privata.

È la svolta: a ogni concerto, a ogni apparizione, a casa di Maria arrivano abiti e accessori, con le indicazioni precise su che cosa indossare al mattino, al pomeriggio, alla sera, con gli abbinamenti scritti e numerati. Così «la Callas» diventa anche elegante, acquisisce una bellezza insolita, una sicurezza nel portamento che prima aveva solo nella voce e nella sua impeccabile recitazione sui palcoscenici. Ma per la consacrazione bisogna aspettare un po’. Siamo al 19 dicembre del 1958, la Callas debutta all’Opéra di Parigi con un concerto organizzato dalla rivista femminile Marie Claire per celebrare la Legion d’Honneur. C’è tutto il bel mondo parigino, perfino il presidente della repubblica, René Coty. Maria Callas fa il suo ingresso sul palcoscenico, indossa un abito lungo di crêpe de Chine retto da due sottili spalline, le spalle coperte da una stola dello stesso tessuto, i capelli raccolti a chignon e, come aveva suggerito Biki, un collier e gli orecchini di diamanti. Niente più. Canta Casta diva, da Norma, e quella stola diventa il suo costume di scena, il suo manto druidico, la sua veste di sacerdotessa.

È un incanto, nemmeno i grandi fotografi di moda, da Avedon a Newton che si ispirarono a lei negli anni successivi, avrebbero potuto creare un’immagine di così intenso glamour, così théos, cioè divina. Ma c’è ancora un altro filmato che può raccontare la potenza di questa figura che diventa icona della moda pur essendo un’inarrivabile artista. È il concerto del Covent Garden nel 1962 dove Maria indossa un abito nero con una stola a cratere e un solo gioiello, una lunga broche di diamanti. Non ha neanche gli orecchini. I capelli sono pettinati alti, voluminosi. Canta Tu che le vanità, dal Don Carlo di Verdi.

È un’aria per il concerto, ma lei recita. Anche da sola, sul palcoscenico è Elisabetta di Valois, moglie infelice di Filippo II di Spagna e si dispera per il Carlo, il figlio di lui che ama. I suoi gesti sganciano la spilla dall’abito, che cade. Si sente il tonfo. Lei non si interrompe, sgrana gli occhi in segno di disapprovazione, la spilla di Cartier costa un patrimonio, se si rompe sono guai. L’aria termina, il pubblico è in delirio. Basterebbe questo fermo immagine a spiegare perché, quando il 16 settembre 1977 alle 13.30 la radio francese interrompe i programmi per annunciare la morte per suicidio di Maria Callas il mondo si ferma. E, da lì in poi il théos, diventa mito.