Margaret Atwood, in un breve tour Italiano per ritirare, a Como, il premio Raymond Chandler conquistato con L’Assassino Cieco – il romanzo che nell’anno della pubblicazione (2000) le era già valso il Booker Prize e l’Hammet Prize – non vuol sentir parlare di fantasia o fantascienza a proposito delle sue numerose opere. Le definisce, invece, speculative fiction, ciò che i francesi con un’espressione che rende accuratamente la forza proiettiva della narrazione chiamano roman d’anticipation, cioè racconti di un futuro prossimo il cui intreccio si ispira a una realtà che ha già avuto luogo nel passato o che scorre, offuscata, nel presente.

I CONTESTI CAMBIANO, le circostanze si rimodellano, gli eventi si intrecciano a riflessioni e digressioni, ma i dettagli provengono da spunti storici su cui Atwood si documenta scrupolosamente, corredando il copioso archivio dei suoi manoscritti con numerose fonti e con articoli ritagliati dai quotidiani dell’epoca in cui i romanzi sono stati scritti. «Non ci metto mai niente che non sia già accaduto», insiste in molte dichiarazioni e interviste rilasciate nel corso di un cinquantennio di best-seller. E anche questa volta ci ricorda: «Io scrivo di realtà. La realtà è granulare, irregolare, e non tutti la sanno raccontare bene. Ma gli scrittori parlano di realtà, in un modo o nell’altro, anche quando raccontano eventi che accadono su una galassia lontana», e parlano di umanità e di persone «anche quando si interessano di conigli», quando inventano espressioni o generi nuovi, come «cli-fi, climate fiction» (narrazioni sui cambiamenti climatici) per segnalare, nel presente, l’angoscia sul futuro più prossimo della nostra specie, quello che ci attende tra venti, trenta, forse cinquant’anni, se saremo fortunati.

NESSUN LUOGO sembrerebbe una galassia più lontana della teocrazia puritana del New England nel Seicento; eppure, il fortunatissimo Racconto dell’Ancella (1985; ripubblicato da Ponte alle Grazie quest’anno), ispirato ai metodi totalitari e alla governamentalità della potente teocrazia di Gilead, che ha improvvisamente conquistato gli Stati Uniti del nord-est e ha ridotto le donne a beni di proprietà dei gerarchi dello Stato, suggerisce esattamente il contrario.
All’uscita della prima stagione della serie televisiva tratta dal Racconto dell’Ancella, prodotta dalla Mgm subito dopo l’elezione presidenziale di Donald Trump, le analogie tra gli Stati Uniti contemporanei e la «galassia puritana» non sono state difficili da scorgere.

Anzi, ricorda Atwood, la serie ha evidenziato quanto «la realtà degli Stati Uniti sia molto più vicina oggi al fondamentalismo e alla teocrazia di quanto non fosse nel 1985, quando il romanzo venne pubblicato. Ci sono diverse cause: non solo ora nell’esecutivo ci sono molti fondamentalisti religiosi, ma il Presidente sembra non capire né rispettare la Costituzione; lui vorrebbe essere a capo di uno stato totalitario, dittatoriale». E se l’assenza di principi puritani nel retroterra e nella condotta del presidente potrebbe rassicurarci, è il suo vice, Mike Pence, che incombe minaccioso come un personaggio «tratto direttamente dal romanzo».

NEL «RACCONTO DELL’ANCELLA» l’istituzionalizzazione della procedura riproduttiva coatta imposta alle ancelle evidenzia il sottotesto biopolitico che traccia buona parte della produzione letteraria di Atwood.
A partire dalla focalizzazione sul corpo femminile ridotto a dispositivo riproduttivo di proprietà del regime teocratico di Gilead, il nesso tra scienza e potere, tra conoscenza e fede, e tra resistenza e abbandono viene esplorato anche nei romanzi successivi, incentrati sulla capacità biotecnologica di produrre e intervenire, trasformandola, sulla vita (L’Ultimo degli uomini, 2003), e di distruggere gli ecosistemi (L’anno del Diluvio, 2009).
Da questa prospettiva, non si può non scorgere un parallelismo tra l’allevamento delle ancelle da riproduzione e gli allevamenti industriali di animali costretti a vivere per l’alimentazione umana o la sperimentazione scientifica, o tra la distruzione degli organismi viventi e la fede cieca in un capitalismo rapace e tanatologico.

Questa continuità tra i temi femministi e quelli ambientalisti fa di Atwood una pioniera tra gli scrittori e scrittrici che dagli anni Sessanta hanno affrontato con maggiore originalità e coraggio le interconnessioni – politiche, economiche, culturali, ambientali – tra privilegio e potere, e fa anche di lei un riferimento per molti lettori. «Ma io non appartengo a nessun movimento e scrivo romanzi. Non sono un’attivista. Naomi Klein lo è. Come scrittrice non mi considero un’attivista, come cittadina invece partecipo ad alcune cause perse. Certo è possibile che facendo il mio mestiere e descrivendo la realtà io produca effetti da attivista. Forse si può dire che sono un’attivista per caso», sorride. E del resto, ricorda, «sono le ambientazioni che determinano le coordinate delle narrazioni e definiscono come possono agire le persone. Se cambia l’ambiente – generalmente verso il peggio – cambiano i racconti».

QUELLO CHE RESTA sempre, però, è l’imperativo etico alla verità: «Chi sta al potere ama deformare la lingua per nascondere le cose. L’autorità definitiva sul nesso tra potere e linguaggio è George Orwell, che ci ha detto molto di come e quanto il linguaggio possa influire sulle nostre libertà, ridefinendo e modificando le parole, rendendo plausibile anche l’implausibile».
C’è un solo antidoto a questa deriva sempre in agguato: «Bisogna esprimersi con estrema chiarezza, lottare per difendere la libertà di stampa, di parola e di espressione. Bisogna impedire qualsiasi tipo di vaghezza, di offuscamento e occultamento nell’esposizione dei fatti; impedire che vengano nascosti dietro espressioni non chiare.

È necessario difendere il diritto dei giornalisti di raccontare la verità senza correre il rischio di essere uccisi».
Per questo «dobbiamo sostenere il giornalismo, i mass media e la stampa tradizionali, perché sono istituzioni che si assumono la responsabilità di quanto raccontano. Le notizie e le verità che mettono in circolazione sono verificabili, mentre non lo sono i siti web e i blog: abbiamo visto quanto quel tipo di giornalismo ha condizionato i risultati elettorali negli Stati Uniti. Io sostengo la libertà di stampa, la Pen Association e il l’Index on Censorship» (Indice di censura).
I romanzi di Margaret Atwood sono pubblicati in Italia dalla casa editrice Ponte alle Grazie