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«Maresistere», rotta per New York: quando i migranti eravamo noi

«Maresistere», rotta per New York: quando i migranti eravamo noiRoxy in the Box e il progetto «Maresistere» fuori dall’archivio – foto di Francesca De Paolis

Intervista Roxy in the Box racconta l’installazione all’Archivio di Stato di Napoli, in mostra le storie di chi ha lasciato l’Italia

Pubblicato circa un anno faEdizione del 18 agosto 2023
L’installazione all’Archivio di Napoli, foto di Francesca De Paolis

Una camera ammobiliata. Un letto matrimoniale, un comò, un armadio, tutti di legno: antichi. Non sappiamo chi l’abitasse. Le ante dell’armadio nascondono due schermi: due attori, Gianfranco Gallo e Fabiana Fazio, recitano un monologo dolce e straziante che parla di vite in bilico, lontananza, radici. In sottofondo il perenne rumore del mare che si affaccia da un monitor nel cassetto del comò. Sulle pareti, foto in bianco e nero, documenti, lettere. Sulla carta, tracce di vite, destini di centinaia di esseri umani. Ognuno, per un motivo diverso, decise di compiere una lunghissima traversata, la tratta Napoli- New York, 41° parallelo Nord. All’epoca i migranti eravamo noi. L’Archivio di Stato di Napoli – scrigno di meraviglie che ha ricevuto nuovo impulso ad aprirsi alla città con la direttrice Candida Carrino – ospita MARESISTERE, installazione dell’artista partenopea Roxy in the box che dagli anni ’90 incarna Napoli e le sue diverse anime con le sue opere di un pop «terroristico», icone involontarie e ironiche della città e dei suoi innumerevoli immaginari. Artista totale e completa nel suo attraversare ogni modalità espressiva, Roxy non è nuova all’esplorazione del passato come chiave di lettura del contemporaneo. La intervistiamo a proposito di MARESISTERE, in mostra fino a febbraio 2024 nel cuore del centro antico che, a ben guardare, offre molto di più dello street food.

Perché «MARESISTERE»?

«Ma resistere» è la traversata di tanti nostri antenati che agli inizi del secolo scorso compirono un viaggio lunghissimo per arrivare dall’altra parte del mondo. Per me il mare è un ponte che non dovrebbe crollare mai. Mi attira l’immensità della linea dell’orizzonte che non finisce, che non si chiude e crea un senso di apertura, di accoglienza. Da anni assistiamo al fenomeno migratorio sulle nostre coste: è un tema molto doloroso. Ho voluto ripercorrere questo dolore a partire da persone a me più vicine. Quando si parla di un dolore vicino, forse si capisce meglio. È stata una ricerca sul sentire. MARESISTERE è quella parte in bianco e nero che esiste dentro di me: quando si parla di me si tende a pensare ai colori, a un pop estetico molto spinto. Se a ogni mio lavoro togli i colori, spesso restano delle storie tragiche: è un’estetica imbrogliona, la mia.

Come si è sviluppato il progetto, attraverso quali storie?

Per mesi ho fatto ricerche all’Archivio di Stato e alla Fondazione del Banco di Napoli: qui sono conservate le rimesse dei migranti che da New York mandavano soldi in Italia e viceversa. È tutto tracciato. Ho incrociato i dati con gli archivi online di Ellis Island. Sono riuscita a riesumare circa duecentocinquanta napoletani. Nella sezione «Questura» dell’Archivio di Stato ci sono le richieste di passaporto con informazioni su altezza, colore degli occhi, capelli, se erano o meno pregiudicati, foto. Spesso le richieste erano accompagnate da lettere: quando le mogli dovevano raggiungere i mariti, la Questura chiedeva per prova la loro corrispondenza. In alcune lettere c’era scritto che pensavano di trovare qualcosa di bello e invece erano rimasti delusi: le strade erano rotte, la città difficoltosa, non venivano trattati bene. Altre contenevano informazioni pratiche: «Cerca di portare il materasso», «ti sono arrivati i soldi che ti ho mandato?». Molte lettere erano cariche di nostalgia e malinconia. Il tema principale è: quanto dolore c’è in questa separazione? È un lavoro sulla memoria: per capire un dolore di oggi, prima di arrivare a casa di altri, ho voluto attraversare casa mia.

Chi erano i viaggiatori della tratta Napoli- New York?

Donne, uomini, moltissimi minorenni che già avevano imparato un mestiere: occorreva segnarlo sulle richieste di passaporto. Sarte, operai, panettieri, pasticcieri, barbieri, cocchieri. Non solo working class, anche professionisti, laureati che andavano oltre oceano per business. Moltissimi i musicisti con contratti a New York, pensiamo alla cantante Ria Rosa, lo showman Farfariello. Gli artisti napoletani erano molto famosi tra gli emigranti, il tempo non ci ha restituito tutte le loro storie. Ho trovato un libricino, Avvertenze per l’emigrante italiano, una sorta di vademecum che lo Stato consegnava a chi faceva richiesta di passaporto. Conteneva una serie di indicazioni su come comportarsi una volta arrivati. Consigli semplici: mangia bene, fai sport, sii sempre gentile, quando arrivi non affidarti a chi non conosci.

A un certo punto la ricerca è uscita fuori dall’Archivio e ha invaso lo spazio urbano.

Ho raccolto circa centottanta indirizzi. Ho creato uno sticker di una valigia vintage con il logo “I love NYC” e nome, cognome e l’anno in cui la persona si imbarcava. Ho attaccato questi stickers sotto i portoni delle case di Napoli che sono stati attraversati per l’ultima volta da chi emigrava. Dai documenti si evince che si partiva da tutte le zone: centro storico, Porto, stazione centrale, zona Mercato, Vomero, Posillipo. E anche da moltissimi paesini della provincia che si svuotarono letteralmente. Ero molto curiosa rispetto ai discendenti, ho rintracciato sulle pagine bianche americane alcuni dei cognomi trovati all’Archivio. Ho spedito delle lettere in cui ho spiegato il progetto e chiesto cosa siano diventati. M’interessava avere un riscontro di cosa questa malinconia ha lasciato, capire se sia stata trasferita alle nuove generazioni.

Com’è stato lavorare in un archivio?

Sono stata per giorni in mezzo a documenti che probabilmente non si aprivano da cent’anni, alcuni si sgretolavano in mano, diventavano polvere. Ho avuto un’esperienza fisica con queste anime, con queste storie. È stato un lavoro denso, stimolante, in una modalità di studio, concentrazione, silenzio che non ha pari. I documenti ci parlano.

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