Forza Italia non ha gradito annunciando (da copione) che chiederà alla magistratura il sequestro del film per offesa all’immagine di Berlusconi. Per ora Belluscone – Una storia siciliana, il nuovo e magnifico film di Franco Maresco, dovrebbe arrivare in sala domani (36 copie) in tutta Italia. Corriamo a vederlo (mi raccomando il passaparola con gli amici) contro i ricatti dell’esercizio (quelle cose del tipo una settimana e via), e soprattutto perché ci spiega, come mai finora e facendo morire dal ridere, un ventennio di Storia italiana, quello berlusconiano, e le sue mutazioni antropologiche e culturali che si arrotolano nei decenni precedenti, e che trovano negli anni Novanta di «discesa in campo» del Cavaliere il perfetto compimento.

Semmai lo censurassero – come ai tempi di Totò che visse due volte bloccato dalle furie integraliste del cattolici – sarebbe la cupissima conferma del sentimento che lo attraversa. Perché il film di Franco Maresco, il più applaudito alla Mostra di Venezia (in Orizzonti, continuano tutti a chiedersi perché non è stato messo in concorso specie di fronte alcuni titoli passati questi giorni, da The Cut a Roy Andersson), parla di Berlusconi e della sua love story con la Sicilia che lo ama sempre tanto, e attraverso quella che potrebbe sembrare una riflessione su qualcosa già consumato per la sua natura mediatica, investiga la Storia del nostro paese, i suoi «eterni ritorni» e i sussulti apparenti, i consensi taciti e gli accordi strumentali.

L’alter ego di Maresco è Ciccio Mira, impresario musicale e figura chiave per capire le relazioni tra neomelodici e poteri, quelli che Ciccio chiama «gli amici», ben attento a non pronunciare mai un nome, a non farsi sfuggire una qualche dichiarazione. È lui a governare le piazze dei neomelodici napoletani che trionfano nei quartieri popolari di Palermo come il Brancaccio. Ma cosa c’entrano i neomelodici con Berlusconi a parte il fatto che sono tutti «azzurri»? «Voglio cenare con Berlusconi» compone Erik, cantante neomelodico con l’amico napoletano Vittorio, idolo delle ragazzine che impazziscono sulle note della sua #31#.

«Organizzeresti un concerto per ricordare il 19 luglio, anniversario dell’assassinio di Borsellino?» chiede a Ciccio Mira Maresco. L’uomo tentenna, è imbarazzato, non risponde. La mafia? Non so. Però il suo programma su un’emittente locale si chiude sempre con i messaggi in codice dei detenuti alla famiglia, e dal palco i cantanti non mancano mai (guai se accade il contrario) di salutare gli «ospiti dello stato».

E Berlusconi? Perché ai siciliani piace tantissimo? Perché alla notizia delle sue dimissioni tutti sono in lacrime e pregano santa Rosalia che faccia il miracolo, che lo riporti tra loro. Berlusconi è buono, Berlusconi ci dà lavoro, c’è persino chi temendo di perdere senza di lui la pensione si fa saltare in aria con tutta la casa.

Anche di Berlusconi si dice che avesse rapporti con la mafia, Maresco ricorda lo stalliere Mangano e le relazioni coi boss dell’epoca, Bontade tra tutti, e l’allora imprenditore milanese astro nascente dell’economia italiana.
Poi un colpo di fortuna: davanti alle telecamere di Maresco accetta di parlare il senatore Dell’Utri, prima della fuga. Ma quando sta per dire qualcosa di fondamentale su un possibile legame tra Berlusconi e la morte di Mattei l’audio salta. Rimane l’immagine di Dell’Utri su un trono rosso e oro, l’aria scocciata di fronte alle manovre di quella troupe scalcagnata.

Maresco a parte la voce non lo vediamo mai. Anzi il filo narrativo è quello della sua scomparsa misteriosa, forse perché venuto a conoscenza di cose scottanti. A cercarlo a Palermo, come in un set di Welles, arriva l’amico Tatti Sanguineti, quasi un Marlowe nel taxi sotto la pioggia. È lui a intrecciare il fuori campo della storia che prende la forma di una ricerca, un’investigazione intorno al film arenato. Frammenti disseminati tra beghe giudiziarie – un cantante ha bloccato la sua canzone quando ha scoperto che il film attacca la mafia, ma Picarra e Ficone sbroglieranno la matassa.

E la depressione del regista svanito nel nulla che non ricomparirà. Un po’ come il suo Cagliostro, del film diretto ancora con Ciprì, e come gli abitanti del suo universo poetico, fantasmi quale è lo stesso Ciccio Mira che alla fine sarà arrestato. La mafia non è più quella antica che non ammazzava i bambini dice Ciccio, prodigioso esempio di congiunzione tra la Sicilia (Italia) democristiana e quella berlusconiana.

Non è però la denuncia a interessare Maresco, nelle sue immagini l’attualità va oltre la cronaca, e questa è la loro potenza, e ciò che gli permette di non rimanere impigliate nella logica della «realtà» così come è. È lo sguardo che produceva le apocalissi di Cinico tv, crudele e insieme pieno di compassione verso quelle creature immobilizzate in un paesaggio senza salvezza. Lo stesso che pervade questa Palermo/Italia dall’apparenza scanzonata, che Maresco scortica con malinconica consapevolezza.

Non si tratta di nostalgia, per carità, e del resto di cosa? Delle speculazioni selvagge, di una corruzione remota e immutabile, della menzogna e delle stragi? Malinconico è semmai il pensiero sul senso del proprio ruolo, che significa fare oggi un cinema che parla del «vero». Maresco non è un moralista, non punta il dito o cerca colpevoli che garantiscano risposte rassicuranti. Costruisce la sua inchiesta dentro all’immaginario, nella televisione di anni e anni, nelle trasmissioni delle emittenti locali.

Berlusconi è questa cosa qui, o molte altre, ma al di là di lui c’è un paesaggio umano, quello di ora, in cui la visione di Renzi a Amici col suo giubbino nero non è tanto meglio. Non è, dunque, semplicemente questione della trattativa stato-mafia, ma è qualcosa che va al di là, qualcosa che tutto questo raggruppa e produce, una sorta di pensiero collettivo ineffabile, che solo la finzione del vero, può cogliere nella sua radicale verità.

Sta a noi cogliere il fascino di Berlusconi o Belluscone in un paese che ha bisogno di sentirsi protagonista, e davanti alle sue macerie preferisce distogliere gli occhi. Lui, Maresco, si interroga a sua volta, e quel sentimento malinconico, è questa sua commuovente ostinazione, che oscilla tra comico e tragico, risata e spavento per un presente in cui tutto si confonde, e appare normale, quotidiano. Il limite è infranto, Ciccio Mari è sparito, e così Maresco. E il cinema?