Niente impedisce a un magistrato di candidarsi a sindaco nella città dove esercita la sua funzione. Dunque la pratica che avrebbe potuto portare al trasferimento di Catello Maresca, sostituto procuratore generale a Napoli, da settimane in pista come assai probabile candidato “civico” e del centrodestra alle amministrative, va archiviata. Maresca può continuare la sua campagna elettorale di fatto, con il solo obbligo di collocarsi in aspettativa trenta giorni prima del voto. Lo ha stabilito ieri il Consiglio superiore della magistratura dove è prevalsa la linea dei consiglieri laici di centrodestra, Lega e Forza Italia (con un’eccezione), dei consiglieri laici in quota Movimento 5 Stelle e delle correnti della magistratura di centrodestra (Unicost e Magistratura indipendente, anche qui con un’eccezione). Favorevole all’archiviazione anche il magistrato Nino Di Matteo. Contrari ma in minoranza il resto dei davighiani e i togati di sinistra di Area. Nel plenum è finita 12 a 9 e Maresca ha così commentato: «La toga è sempre stata e sempre sarà, fino a quando sarò su questa terra, la mia seconda pelle. Ho sempre servito e servirò le istituzioni e i cittadini italiani».

Un mese e mezzo fa aveva spiegato al Mattino, come risulta dagli atti che ha esaminato il Csm, che potrebbe essere «non un candidato di una parte ma dei napoletani» e da allora ha moltiplicato le sue uscite pubbliche sui temi della campagna elettorale. Berlusconi ha raccontato di avergli «parlato a lungo» come «unico candidato venuto fuori» e due giorni fa anche Salvini ha detto sì al candidato Maresca «senza bandierine di partito». Lui pare avere un progetto più ambizioso per imbarcare anche pezzi di centrosinistra potenzialmente delusi dall’accordo Pd-M5S. Ma non ha mai annunciato ufficialmente la candidatura, cosa che invece ha fatto per suo conto un noto prete antimafia cittadino, don Manganiello, che alla vigilia di Natale ha raccontato: «Ha deciso di candidarsi, me lo ha detto venerdì scorso, sono molto contento».

Prima in commissione e poi ieri nel plenum, il Csm si è limitato a constatare che non c’è un divieto di legge per le candidature alle amministrative così come c’è per le elezioni politiche, dove una toga non può candidarsi nel circondario se non ha smesso di esercitare le funzioni sei mesi prima del voto. Malgrado da dodici anni l’Associazione nazionale magistrati raccomandi ai suoi iscritti di astenersi dalle candidature alle amministrative nel loro territorio – ma quando l’attuale vicepresidente dell’Anm lo ha ricordato a Maresca, Maresca ha lasciato l’Anm – e malgrado il Csm abbia chiesto al parlamento, sei anni fa, di introdurre un divieto in tal senso.

Secondo il Csm, però, Maresca può continuare a svolgere le sue funzioni a Napoli in piena indipendenza e imparzialità. La pratica era partita da una segnalazione del procuratore generale della città Luigi Riello, ex leader nazionale di Unicost (corrente alla quale era vicino lo stesso Maresca). «I magistrati superstar che vanno in giro a fare politica e che frequentano i talk show li vedo come una negazione della cultura giurisdizionale» ha detto ieri Riello. Secondo Di Matteo, invece, il caso Maresca non rappresenta un problema perché «le commistioni tra magistratura e politica non si realizzano con le candidature». Mentre per il togato di Area Zaccaro, che ha votato contro l’archiviazione, è giusto «rivendicare il diritto dei magistrati alla partecipazione al dibattito politico generale sui diritti, sulle garanzie, sulle istituzioni ma ritengo che ci debba essere massima attenzione alle modalità con le quali il magistrato si impegna in politica, ossia come si approccia all’esercizio del suo elettorato passivo».