«Si parte, si torna, insieme, il corpo ci appartiene», «Fatti i feti tuoi», «Fuori il Vaticano dalle mie mutante»: questi e molti altri slogan femministi sono stati gridati da più di cinquemila persone a Verona ieri per l’inizio dello «stato di agitazione permanente» lanciato da Non Una di Meno a livello nazionale.

Verona è stata scelta come prima tappa di un lungo percorso che proseguirà con la manifestazione di Roma del 24 novembre e poi con lo sciopero del «Lotto marzo» perché qui, qualche giorno, fa l’amministrazione comunale ha approvato una mozione per proclamare la città «a favore della vita» e per finanziarie associazioni per l’adozione del feto legate al Movimento Pro Vita. E mentre a Milano si chiede l’abolizione della 194, legge che ha salvato le donne dall’aborto clandestino, da Verona si risponde che un comune deve finanziare i consultori, promuovere la contraccezione gratuita, i corsi di educazione sessuale nelle scuole, deve lavorare in direzione di una maternità consapevole. E ancora: «La mozione vuole affermare innanzitutto un fatto simbolico e cioè che Verona è città per la vita collocandosi dunque all’interno di un contesto in cui la parola “vita” viene usata in un modo ben preciso: è vita quella del feto e viene ben prima di quella della donna».

Nelle prossime settimane al Consiglio comunale di Verona tornerà probabilmente in discussione anche un’altra mozione che prevede la sepoltura automatica dei feti senza il consenso della donna coinvolta. Le premesse e il contesto politico da cui nascono le mozioni veronesi sono le stesse che risuonano a livello nazionale: basti pensare al ddl Pillon o ai continui attacchi all’aborto del ministro Fontana (che a Verona era vicesindaco fino a qualche settimana fa). Ma basti pensare anche alle recenti dichiarazioni del Papa che è tornato ad attaccare l’aborto criminalizzando le donne.

In una delle tappe del corteo, in piazza Bra dove c’è la sede del Comune, decine di ragazze vestite come le ancelle della serie tv si sono liberate dei loro mantelli rossi (e simbolicamente del loro ruolo di uteri vaganti) mentre la papessa annunciava loro la fine del Medioevo. Con Una di Meno a Verona sono scesi in piazza, per riprendere parola, movimenti Lgbtqi e collettivi studenteschi, associazioni «che lavorano per aprire spazi di libertà» e i cittadini e le cittadine che rivendicano uno Stato laico, libero dal patriarcato, dal sessismo, dal fascismo e dal razzismo.

Ma a Verona «tutto si tiene». Giorni fa il consigliere della Lega che aveva promosso la mozione contro la 194, Alberto Zelger, durante un’intervista radiofonica ha affermato che «l’aborto non è un diritto, è un abominevole delitto», che le persone omosessuali sono «una sciagura per la riproduzione e per la conservazione della specie». Giovedì scorso in Consiglio comunale era all’ordine del giorno una mozione firmata dal capogruppo della Lega Mauro Bonato per prendere le distanze dalle dichiarazioni di Zelger, considerate «vergognose e inaccettabili». La mozione esprimeva «il disappunto perché Verona agli occhi dell’Italia è apparsa come una città intollerante, discriminatoria e omofoba» e chiedeva una «ferma e decisa condanna alle parole inaccettabili e offensive pronunciate dal consigliere Zelger per aver calpestato la dignità della persona umana».

Durante la seduta Zelger si è scusato in Aula e dopo una sospensione del Consiglio il testo della mozione «è stato ulteriormente trasformato in una farsa», spiegano al corteo: sono sparite le numerose citazioni delle parole pronunciate da Zelger, è rimasto un lungo elenco dei giornali che avevano ripreso la notizia. E ciò che alla fine il Consiglio ha stabilito è che: «Verona è una città tollerante, accogliente, che non discrimina, ed è sempre stata a favore della vita». Sono state poi «prese le distanze» dalle parole pronunciate da Zelger «a titolo personale». Tutti i consiglieri e le consigliere presenti hanno votato il documento, compresi quelli di minoranza. Tutti tranne uno: Michele Bertucco di Sinistra in Comune.

In piazza questo passaggio del Consiglio comunale è stato commentato a lungo: «A noi sembra al contrario che le parole di Zelger esprimano in pieno il clima di intolleranza che si respira in questa città da decenni, un clima che si sta facendo sempre più pesante perché legittimato dal governo nazionale. E che sempre più dimostra i legami tra chi professa l’impossibilità per le donne di decidere dei propri corpi e della propria sessualità, chi mortifica la cosiddetta comunità di gay, lesbiche e trans, chi professa il sovranismo nazionale contro il diritto alla migrazione e criminalizza le persone migranti con una stretta sempre più feroce nata da un reato amministrativo creato ad hoc: il reato di clandestinità».

La libertà delle donne – si dice tra balli, slogan, striscioni e cartelli molto creativi – non è racchiudibile in una legge: «Da tempo è chiaro che il femminismo non è sinonimo esclusivamente di lotta delle donne per le donne. Abbiamo molto chiaro che non c’è libertà delle donne senza la libertà di amare, desiderare, di unirsi con chi si vuole e di esprimere l’identità di genere che si sente di avere».