L’iniziativa militare-umanitaria denominata Mare Nostrum ha finalità ambigue e tutte da verificare. Lo spiegamento di navi da guerra e velivoli di vario genere nel Mediterraneo sembra avere un duplice e contraddittorio scopo: soccorrere – come dice il premier Letta – i profughi e gli immigrati delle carrette del mare e, come dice Alfano – “il controllo delle frontiere” . Tanto è vero che il vice premier ha dichiarato: “Non è detto che se interviene una nave italiana porti i migranti in un porto italiano”. Il messaggio è chiaro. Il soccorso italiano potrebbe essere finalizzato solamente a riportare a “casa loro” i migranti.

E poi quali saranno le cosiddette “regole di ingaggio” delle navi, delle fregate e dei pattugliatori nell’esercitare, come dice Alfano, un “effetto deterrente… con la possibilità di intercettare i mercanti di morte”? Ancora non è dato di sapere. E la questione delle regole di ingaggio non è di poco conto, visto come andarono le cose nel marzo 1997 quando la nostra corvetta Sibilia (impegnata in analoga opera di pattugliamento nel Canale di Otranto) speronò la Kater I Rades, provocando oltre 100 vittime tra i migranti albanesi. Cosa significa avere un “effetto deterrente” e “intercettare i mercanti di morte”? Il rischio di nuovi incidenti è all’ordine del giorno. Che poi il governo pensi di portare avanti questa iniziativa raccordandosi con le autorità dei paesi di provenienza delle navi ci mostra tutto il carattere velleitario di questa operazione: si pensi a cosa voglia dire in questo momento raccordarsi con il governo libico colluso con i trafficanti di migranti.

La miscela di comportamenti militari e afflato umanitario (a loro copertura) produce sempre effetti nefasti e ambigui e l’esperienza del passato, tra guerre umanitarie e imperialismo democratico, ci dimostra tutta l’ipocrisia di politiche belliciste e in questo caso securitarie che camuffano da “buoni sentimenti” interventi ispirati a pure logiche di potenza, di chiusura e di egoismo nazionale. Colpisce poi come l’impostazione di un’iniziativa come questa riproponga il solito approccio: la riduzione di un dramma sociale e umano a problema di sicurezza, militare, di ordine pubblico. È lo stesso meccanismo che porta alla criminalizzazione del disagio sociale e al sovraffollamento delle nostre carceri di immigrati e di tossicodipendenti per piccoli reati che dovrebbero essere depenalizzati o affrontati in altro modo.

Invece di questa esibizione militar-umanitaria, il governo avrebbe fatto meglio ad affrontare i nodi veri del dramma dei migranti del mediterraneo: creare un corridoio umanitario per le navi, cancellare il reato di clandestinità e quello di favoreggiamento per chi – come i pescherecci siciliani- si è trovato spesso nel dilemma se aiutare o meno le barche dei migranti in difficoltà. Ma quello che, al fondo, sarebbe necessario e’ un cambio di rotta nelle politiche sulle migrazioni: accanto all’abrogazione della legge Bossi Fini, una politica positiva verso il fenomeno migratorio, fondata sull’accoglienza, l’integrazione, la cooperazione internazionale.

Questa iniziativa, se prevarrà l’impostazione umanitaria, potrebbe portare aiuto e sollievo a tanti migranti. Se invece sarà l’approccio securitario e militarista ad avere la meglio, allora il Mediterraneo rischia di trasformarsi in un Mare Monstrum, una specie di incubo per chi lo deve attraversare, con il terrore di essere speronato dalla corvetta di turno o di essere riportato indietro, magari negli stessi paesi in cui si rischia di tornare nelle mani dei “signori della guerra” o dei dittatori di turno. È una prospettiva da evitare: bisogna riportare nei porti le navi da guerra e le corvette e bisogna invece mettere in campo politiche di accoglienza e di rispetto dei diritti umani.