Dopo alcuni fortunatissimi romanzi storici, da Magellano a Marco Polo fino al penultimo Il viaggio dei viaggi, dove l’avventura prevale sullo psicologismo, quasi a rinverdire, per ammissione dell’autore medesimo, la narrativa salgariana, condita però da erudizione postmoderna e da consapevolezza analitica, Gianluca Barbera torna quasi alle proprie origini. Mediterraneo (uscito per Solferino, pp. 234, euro 17) sta infatti tra il vecchio conte philosophique e la nuova science-fiction, tra la macchina del tempo e il mistero del creato, così come viene ripreso da antiche mai dimenticate culture.

MA RIBADISCE pure una ferrea disciplina del proprio engagement affabulatorio: è il tema del viaggio, inteso via via come attraversamento di luoghi fisici e mentali; scoperte più o meno impreviste di uomini, paesaggi, oggetti, avvenimenti; teoria dell’altrove perduto; rito sia iniziatico sia formativo per i protagonisti, i quali, talvolta, proiettano curiosità, ansie, dubbi, valori di un romanziere che, a sua volta, gioca abilmente a confondersi dietro i personaggi, fino a immagazzinare e trasmettere un sapere enciclopedico che, in questo, forse più che negli altri libri, assume i tratti dell’universalismo contemporaneo o postmoderno, per usare una seconda volta un aggettivo controverso che si adatta benissimo a un testo multistratificato, metaletterario, pluridisciplinare come Mediterraneo.

NON È UN CASO infatti che Barbera, in mezzo a classici filosofi, teologi, profeti, intenti di fatto a rappresentare il Mare Nostrum arcano, citi soltanto uno scrittore novecentesco quale Borges che, nei racconti, gestisce più o meno gli stessi temi all’interno di quei labirinti intellettuali che invece qui offrono lo spunto per affermare, alla fine, la scienza del presente e del futuro.
A questo punto è forse utile ricordare una trama persino semplice fin dal plot iniziale, con un padre alla ricerca di un figlio scomparso, perché l’Odissea del professor Giovanni Belisario per riprendersi l’amato Christian, giovane antropologo in fuga tra Grecia e Asia Minore, è un intricato saliscendi dalla prosa avvincente: Cnosso, Atene, Istanbul, Alessandria, Gerusalemme, ovvero cuore e anima del Mediterraneo oggi al centro di guerre, terrorismo, sbarchi clandestini o migranti respinti, paiano l’esito delle tre grandi religioni monoteiste, mentre si salvano mitologia e paganesimo dei greci, maestri anche nell’anticipare la filosofia, il logos.

IN EFFETTI, grazie alla misteriosa triade dodecheratto-ipercubo-entanglement (mutuata in parte da Robert A. Heinlein, narratore fantascientifico statunitense), Belisario incontra Epicuro, Socrate, Gesù, Maometto, in condizioni più o meno deplorevoli, mentre il dialogo finale con la rifrazione di Albert Einstein sembra poter quasi pacificare tanto il personaggio quanto l’autore, soprattutto quando la risposta è che «il senso della vita risiede nella vita stessa, presa in sé e per sé». Ma, per arrivare a tale epilogo, quante tragiche peripezie, descritte spesso magistralmente.