La Mare Jonio resta a 13 miglia da Lampedusa. Ieri mattina alle 9 il personale medico di bordo ha inviato alle autorità italiane una nuova richiesta urgente di autorizzazione a entrare in porto a causa «del rischio di emergenza igienico-sanitaria». A creare allarme è la rottura del dissalatore che sta provocando «la mancanza di acqua destinata a uso igienico e alle altre necessità di bordo, mancanza che si protrae da ormai 40 ore e di cui le autorità sono informate già da giovedì mattina». E ancora: «Questa emergenza non può essere risolta con il semplice invio di bottiglie di acqua». A destare particolare preoccupazione la presenza dei rifiuti derivanti dal salvataggio e dalla permanenza a bordo dei naufraghi, accatastati in sacchi neri, come i vestiti impregnati di benzina e urina. Il rischio di malattie (ci sono già due casi di scabbia) è certamente aggravato dalla mancanza d’acqua, «con conseguenti possibili danni per i naufraghi e l’equipaggio».

IL GRUPPO è stato salvato mercoledì all’alba, giovedì notte in 64 su 98 hanno avuto l’autorizzazione a sbarcare. I più fragili, come donne incinte, malati e bimbi piccoli (due di pochi mesi), hanno dovuto fare il trasbordo al largo, saltando al buio nel mare in tempesta sulla motovedetta della Guardi costiera, che poi li ha portati al molo militare Favaloro di Lampedusa. Sulla nave dei volontari italiani di Mediterranea sono rimasti in 34, sei donne sole e 28 uomini, tutti con i sintomi da stress post traumatico per le torture e le violenze patite lungo il viaggio e poi in Libia: «Chiediamo che questi naufraghi possano sbarcare prima possibile – hanno ripetuto ieri -. Si è aggiunto al moto ondoso, che non ci lascia tregua, un guasto all’evaporatore e al dissalatore che ci privano di acqua corrente: siamo senz’acqua dai rubinetti di cucina e bagno. Non è possibile lavare la nave né gli abiti».

L’ARMATORE Alessandro Metz, l’europarlamentare Pd e medico di Lampedusa, Pietro Bartolo, e la portavoce di Mediterranea, Alessandra Sciurba, nel pomeriggio sono saliti sulla nave per portare provviste e verificare le condizioni dei naufraghi. «Sono stati due giorni alla deriva su un gommone – ha raccontato Metz -, la prima notte in sei sono finiti in mare. Le grida di chi annegava li ha traumatizzati, te lo raccontano ossessivamente. I 34 rimasti sulla Mare Jonio, incluse le sei donne, hanno sul corpo i segni delle violenze e delle torture, inclusi quelli lasciti dagli elettrodi. I bimbi sbarcati giovedì erano tutti senza padre o perché concepiti da violenze sessuali oppure perché il papà è stato ucciso in patria o durante il viaggio. A bordo sono contenti per chi è sbarcato ma rimanere da soli, abbandonati, li fa soffrire». Sulla nave è salita un’ispezione sanitaria del corpo marittimo: «Vedremo cosa succederà con la relazione – prosegue Metz -, in un paese normale sarebbero già scesi tutti. Se si vogliono degli ostaggi politici possono prendere noi. Ai naufraghi, con quello che hanno sofferto, li lascino in pace».

SULLA ELEONORE, dell’ong tedesca Lifeline, è appena trascorsa la quinta notte in acque internazionali, al largo di Malta, con 101 naufraghi a bordo: «Molte persone tossiscono. Almeno due membri dell’equipaggio sono ammalati. Le condizioni igieniche sono cattive – raccontano -. Fare la doccia e lavare i vestiti su una nave lunga 20 metri e larga 5 è una sfida logistica. Il deck manager Gerald ha realizzato una doccia improvvisata nell’area del bagno: ognuno ha 120 secondi e un po’ di sapone liquido». Goel, 17 anni del Sud Sudan racconta: «Siamo stati in mare per due giorni e mezzo, avevamo solo 20 litri d’acqua per oltre 100 persone. Dopo 8 ore il motore si è spento, per disperazione alcuni alla fine hanno bevuto acqua di mare. Di notte vedevamo le luci delle navi e urlavamo ma nessun ci ascoltava. La mattina del salvataggio un elicottero militare spagnolo era sulla nostra testa per questo ci eravamo spaventati, pensavamo che sul gommone che si avvicinava ci fossero i libici».

Mentre Mare Jonio ed Eleonore sono bloccati dai divieti di Italia e Malta, 62 migranti sono arrivati nella notte a Gallipoli, rintracciati dalla Guardia costiera, svelando ancora il bluff dei porti chiusi solo alle ong.