Il Letta tornato da Parigi con la scimitarra sguainata incontra il primo ostacolo e la sfida minaccia di trasformarsi nel banco di prova per la sua leadership decisionista. Oggi si sarebbero dovute votare le due nuove capogruppo del Pd, rigorosamente donne. È molto improbabile che succeda. I gruppi non mollano, i presidenti, Andrea Marcucci al Senato, Graziano Delrio alla Camera neppure. Meglio rinviare e sperare nella diplomazia. Quella che sin qui è mancata.

ALLA CAMERA IL VOTO è escluso. Trattandosi di elezione a scrutinio segreto, deve essere convocata apposita riunione, con tanto di seggio allestito. Oggi ci si limiterà alla discussione e la linea di Delrio è già chiara. Rassegnerà le dimissioni, non perché lo chieda il segretario, come ha fatto sapere domenica, ma perché così si era comportato in passato. Nel suo intervento però indicherà due punti fermi: l’autonomia del gruppo, al quale non può essere imposta alcuna decisione, e l’unità del partito.

Significherà mettere agli atti il suo dissenso e il suo malumore, che è alle stelle anche perché Letta gli aveva sì annunciato l’intenzione di sostituire i capigruppo con due donne ma senza fargli parola delle interviste che era in procinto di rilasciare ai giornali locali delle zone da cui provengono Delrio e Marcucci, la Gazzetta di Reggio e il Tirreno. Ma nulla più di questo. Il richiamo all’unità rivela la scelta già presa di non dare battaglia e di accettare il verdetto del segretario.

LE COSE STANNO diversamente al Senato. Qui Marcucci intende tenere duro. Ieri mattina i senatori di Base riformista, che nel gruppo di palazzo Madama sono la maggioranza, si sono riuniti e hanno confermato la fiducia al presidente. Il voto oggi renderebbe inevitabile lo scontro, la lacerazione, il passaggio di Base riformista all’opposizione: la mazzata non si abbatterebbe solo su Letta ma sull’intero Pd.

Marcucci, almeno a parole, non ha però ancora escluso il pronunciamento: al secolo una richiesta di voto immediato da cui uscirebbe vincente ma che travolgerebbe il partito. Alla fine almeno sui tempi il capogruppo si dovrebbe piegare accettando il rinvio di una settimana. Ma la tensione resterà altissima.

LETTA, CHE IERI ha incontrato per la prima volta Draghi nelle nuove vesti di entrambi, procede però come un rullo compressore. «C’è un problema con gli incarichi solo al maschile. Sono certo che i gruppi voteranno due donne di qualità», ha ripetuto. I nomi delle papabili dipendono in realtà da come finirà lo scontro al Senato. Se, come è ipotizzabile ma tutt’altro che sicuro, la sfida si chiuderà con un accordo tra Letta e Base riformista, a sostituire Marcucci sarà l’ex ministra Roberta Pinotti mentre lo scranno di Montecitorio toccherà appunto a Base riformista, che sceglierà Alessia Rotta. Se invece a palazzo Madama non ci sarà intesa a rimpiazzare Delrio potrebbero essere Debora Serracchiani o Marianna Madia.

COMUNQUE VADA A FINIRE, la vicenda delle presidenze dei gruppi lascerà ferite profonde e il modus operandi adottato dal nuovo Letta, ben più duro e deciso del leader partito per Parigi 5 anni fa, autorizza dubbi in quantità industriale sulle possibilità di tenuta della precaria unità faticosamente raggiunta dal Pd. L’elemento che più ha suscitato malumori non è la decisione di sostituire i presidenti, che è del tutto comprensibile e giustificata dal momento che proprio il dover fare i conti con capigruppo se non ostili certo scettici era stato uno dei principali problemi di Zingaretti.

L’accusa, che corre sia tra i senatori che tra le senatrici, tra le deputate non meno che tra i deputati, è quella di aver adoperato la questione della parità di genere come alibi per rimuovere i capigruppo scomodi. Metodo già sperimentato, in occasione della presentazione delle liste elettorali, da un altro segretario del Pd: Matteo Renzi.

LA DRASTICITÀ E ANCHE la totale assenza di accortezze diplomatiche da parte di un uomo come Letta, per temperamento e abitudine tutt’altro che un mazziere, rivelano l’intenzione di conquistare d’impeto tutti fortilizi delle correnti e dei potentati interni. Forse è la sola strada possibile. Ma di certo è ad alto rischio di deflagrazione.