Portami al confine è l’ultimo raffinato gioco drammaturgico-musicale di Marco Rovelli & copertina d’artista di Alfredo Jaar. Interamente arrischiato sulle ultime parole dell’Innominabile di Beckett, pannello conclusivo della celebre «trilogia» romanzesca di inizio anni 50, l’album dello scrittore – cantautore apuano punta dritto l’oggetto narrativo beckettiano e lo infilza sulla divaricazione tra presenza e assenza dell’umano sulla Terra. L’abitare la Terra e il sostare sui «confini» nell’attesa di oltrepassarli hanno lunga e feconda tradizione nella letteratura contemporanea. Dunque, squisitamente filosofico, Portami al confine cesella da un lato la fertile vena cantautorale di Rovelli (compreso un certo gusto per un rock di strada affilato dalla chitarra di Paolo Monti, folgorante in Beckett) dall’altro non si distoglie dall’essere sempre e comunque un uomo che scrive e cerca di spiegare – e spiegarsi – il mondo che lo circonda. La sua è una musica caricata con le molle di una ferrea morale. Attenzione! In Rovelli non vi è moralismo, vi è tutt’altro. Basta andare ad ascoltare il disco precedente interamente dedicato alle canzoni di Caterina Bueno per capirlo.