«In principio era “Marc,O”. In seguito la virgola è risalita e si è fatta apostrofo. Mi ha apostrofato. È un capriccio, e ammetto che non mi dispiace essere vittima di un capriccio. Uno scherzo. Nient’altro che uno scherzo. » Così Marc’O, durante un’intervista-fiume nella primavera del 2017 racconta l’origine di un nome inusualmente composto, in cui una virgola diventata poi apostrofo, rammenta la sua complicità con la banda dei Lettristi nella Parigi degli anni Cinquanta.

«All’epoca, tra i Lettristi era ricorrente questo genere di cose. All’improvviso tutti avevano deciso di avere un doppio nome. Il mio cognome è Guillaumin, e sono diventato Marc-Gilbert Guillaumin, così come Guy Debord si è fatto chiamare Guy-Ernest Debord. È una frivolezza, ma una frivolezza che è durata negli anni. Bisogna vivere con le frivolezze. Altrimenti sarei morto se non fossi vissuto con loro!».

Ripercorrere la vita di Marc’O (novantuno primavere lo scorso 10 aprile) permette di addentrarsi tra i momenti più ricchi e dinamici delle sperimentazioni artistiche e politiche del Ventesimo secolo. Giovane partigiano durante la Seconda Guerra Mondiale, raggiunge i Lettristi e partecipa alla rivista Ion di cui dirige il numero speciale sul cinema nell’aprile del 1952.
La pubblicazione si conclude con un “manifesto” scritto di suo pugno, intitolato «Première manifestation pour un cinéma nucléaire – Diagramme, O. du cinéma», in cui Marc’O fa appello a un radicale stravolgimento di tutti i principi fondativi dello spettacolo cinematografico: dalla sala allo schermo, dalla cabina di proiezione allo spettatore, quest’ultimo anche detto «apparecchio di ricezione». Nelle nuove configurazioni del cinematografo proposte da un Marc’O che estremizza le posizioni lettriste fino a farne una parodia, lo spettatore e il suo ruolo costituiscono il motore della nascita del “cinema nucleare”. Se per rivoluzionare la struttura e il funzionamento della sala cinematografica Marc’O immagina un cinema-acquario (in cui un acquario pieno di pesci separa gli spettatori dallo schermo) o un cinema-giostra (una sala circolare movente con otto proiettori), il “nuovo” spettatore potrà essere drogato o ubriaco, seduto su un blocco di ghiaccio o appeso a testa in giù durante la digestione.

Dal film Closed Vision che Marc’O realizza due anni dopo, nel 1954, all’intensa attività teatrale degli anni Sessanta (ricordiamo gli spettacoli L’ivrogne corrigé, L’Entreprise, Le Printemps, Les Play-Girls, L’anticame, Les Bargasses) l’effervescenza sovversiva di Marc’O monta in crescendo fino a deflagrare con la pièce Les Idoles che va in scena nel 1966 à Saint-Germain-des-Prés. Come annunciato anni prima sulle pagine di Ion, la rivoluzione promossa da Marc’O non si limita alla forma, alla mise en scène, né tantomeno al solo contenuto dell’opera. Per l’aneddoto, agli spettatori che entrano a teatro in motocicletta vengono offerti due posti in omaggio. Un anno dopo, Les Idoles diventa un film e Pierre Clementi e Bulle Ogier gli (anti)-idoli di quello che sarebbe diventato il film più celebre del Marc’O cineasta.

Dopo aver partecipato all’occupazione del teatro di Reggio Emilia nel 1967, esplode il Maggio 68, che è costretto a rincorre un Marc’O oramai quasi ubiquo. A Parigi raggiunge l’occupazione della Sorbona e fonda il CRAC (Comitato rivoluzionario di azione culturale) al fianco delle militanti femministe Monique Wittig e Antoinette Fouque.

Se alla fine dell’anno il vento del Maggio soffia dalla Francia verso le Alpi come ad annunciare l’Autunno Caldo dell’anno successivo, Marc’O è già pronto ad accoglierlo. Nella zona di Reggio, dove ormai si è fatto conoscere, prende parte alla lotta degli operai di Fabbrico, in sciopero contro la minaccia di delocalizzazione della fabbrica Landini. Il Teatro Pedrazzoli, costruito dagli stessi operai dopo la Guerra, diventa il motore culturale della mobilizzazione operaia di Fabbrico e uno degli esperimenti più interessanti – e dimenticati – della contro-cultura proletaria degli anni Sessanta in Italia (e non solo). Insieme a Marc’O partecipano alla vita del Teatro-cinema di Fabbrico la fotografa Dominique Issermann, l’artista islandese Roska insieme al suo compagno Manrico Pavolettoni. Dall’incontro con gli operai di Fabbrico nasce il film collettivo L’impossibilità di recitare Elettra oggi: film per decenni (quasi) mai visto, e adesso in via di restauro grazie all’Archivio Nazionale Cinema Impresa. Con Gian Maria Volonté, tra i primi artisti a raggiungere gli operai in lotta di Fabbrico, Marc’O farà avanti e indietro con Roma, dove Jean-Luc Godard realizza Vent d’Est nell’estate del 1969.


In seguito a
Tam Aut del 1971, documentario à la De Seta sulle danze e canti tradizionali di un Marocco ormai lontano, Marc’O esplora le possibilità formali offerte dal video. Nel corso degli anni e dei decenni successivi Flash rouge (1978), L’Adolescenza dell’arte (1985), Citoyens en France (1996-2013), Sensibilité aux conditions initiales (1997-2016), sono il terreno d’incontro tra la sperimentazione dell’immagine e del suono e uno studio mai interrotto sul movimento e il corpo dell’attore in scena.

Dopo la Cinémathèque française nel 2017, quest’anno sarà il Festival di Pesaro a rendere omaggio all’artista “apostrofato dalla virgola”: proprio lì dove nel giugno 1968 la programmazione degli Idoles fu annullata in seguito alle contestazioni indirizzate dagli studenti alla direzione della Mostra. Cinquant’anni dopo, Marc’O sarà a Pesaro per presentare i suoi film e nove decenni di sperimentazioni artistiche e di lotte.

Un appello finale: tutti in sala a Pesaro! Magari in moto.