Era tra quelli che rimbalzavano nelle voci sui possibili concorrenti al prossimo Festival di Cannes da molti giorni, ma la certezza è arrivata solo ieri, con l’annuncio ufficiale di Frémaux: Il traditore, il nuovo film di Marco Bellocchio, sarà in concorso a Cannes, unico titolo italiano – almeno per ora – nella selezione ufficiale. «Naturalmente sono contento di essere a Cannes, il concorso è una gara e posso solo accettarla cercando di fare il più bel film possibile, correndo freneticamente perché c’è veramente poco tempo» ha detto il regista ieri, in un rapido incontro convocato a Roma nella sede di Rai cinema (che ne è produttore insieme a IBC Movie, Kavac Film, i francesi Ad Vitam, i tedeschi The Match Factory). Poche parole, rimandando a una conversazione «più approfondita» sulla Croisette dopo la visione.

Sappiamo tutti quale è il soggetto de Il traditore, Tommaso Buscetta, il «boss dei due mondi», uno dei primi importanti collaboratori di giustizia che con le sue testimonianze ha permesso ai magistrati di conoscere il sistema di Cosa nostra. Ma il cinema di Bellocchio non è un cinema di «biopic», piuttosto lavora sull’interpretazione, sulle sfumature, sulle ambiguità. Lui dice che Il traditore è diverso da tutto ciò che ha fatto fino adesso, e se deve trovare qualcosa che gli si avvicina potrebbe essere Buongiorno notte, in cui rileggeva il caso Moro. Spiega: «Anche qui i personaggi si chiamano coi loro veri nomi,a differenza che in Buongiorno notte però sono osservati in pubblico, nel teatro del maxiprocesso di Palermo o in altri tribunali. Per me Il traditore è un lavoro personalissimo, lo definirei un film civile ma senza ideologia né retorica».

LA STORIA inizia con l’arresto di Buscetta – che sullo schermo ha il volto Pierfrancesco Favino – in Brasile, a San Paolo, nel 1983. È allora che il giudice Giovanni Falcone gli propone di collaborare, lui rifiuta ma intanto l’Italia ne chiede l’estradizione e quando viene concessa Buscetta tenta il suicidio. Sa bene che il ritorno a Palermo significa per lui una condanna, la guerra che lo oppone ai corleonesi di Totò Riina ha ucciso già numerosi dei suoi familiari. È per questo che accetterà di collaborare? «C’è senz’altro una componente di calcolo nella sua decisione in cui conta anche molto però l’affetto per Falcone- dice Bellocchio – La figura di Buscetta unisce orrore e moralità. Si parla di ’tradimento’ ma le questioni sono molto più complesse. Buscetta ha ’tradito’ la propria famiglia, ha reciso le sue radici e se lo ha fatto è stato in qualche modo per salvare la propria vita…».

NON DIRÀ tutto però don Masino, non subito. Quei rapporti tra mafia e politica per esempio rimasero un buco nero per anni nonostante le insistenze di Falcone e degli altri magistrati. «Lo stato non è pronto» era la sua risposta. Sarà solo dopo l’estate del 1992 che Buscetta, dal suo bunker segretissimo in qualche parte dell’America, dove poi morirà di cancro nel 2000, inizia a rivelare quei legami. Cosa nostra ha appena ammazzato Falcone e la sua scorta facendo esplodere la strada tra Palermo e l’aeroporto di Capaci. Poco dopo verrà ucciso sotto casa della madre anche il giudice Paolo Borsellino. Buscetta parla e fa il nome di Salvo Lima (ucciso poco prima) potentissimo andreottiano in Sicilia, il cui padre secondo il racconto di Buscetta – che lo descrive come il suo referente più diretto – era già affiliato a Cosa nostra. Per arrivare a Andreotti il quale sarebbe stato il mandante dell’omicidio del giornalista Mino Pecorelli divenuto troppo pericoloso – accusa da cui il leader dc venne poi prosciolto.
«Falcone ha un capitolo specifico nella storia che si riapre con la sua morte – aggiunge Bellocchio – É allora infatti che Buscetta decide di svelare i rapporti tra i politici e la mafia».