Il futuro della Fiat, dopo l’acquisizione del 100% della Chrysler, sarebbe tutto in discesa: ne è convinto l’amministratore delegato «dei due mondi», Sergio Marchionne, che a una settimana dalla storica operazione di fusione delle due multinazionali, ieri ha rilasciato un’intervista a La Repubblica. Diventare un’azienda sola, ha spiegato, era l’unico modo per sopravvivere nella competizione globale, e ne beneficierà anche l’Italia: dove, «se non crolla un’altra volta il mercato – rientreranno tutti» gli operai dalla cassa, per trovare collocazione nelle fabbriche “rinate”: da Mirafiori a Melfi, da Pomigliano a Cassino.

Parole che fanno sperare le tute blu della Fiat, che convincono Fim e Uilm, ma lasciano perplessa la Fiom: «Da Marchionne solo fabbriche fantasma», sintetizza efficacemente i suoi dubbi il segretario Maurizio Landini, riferendosi a un brano dell’intervista in cui l’ad Fiat spiega che in «capannoni fantasma, mimetizzati in giro per l’Italia, squadre di uomini nostri stanno preparando i nuovi modelli Alfa Romeo che annunceremo ad aprile». Tutto si può dire insomma, tranne che Marchionne non sia uno dalle mille sorprese.

No dunque alla vendita dell’Alfa Romeo ai tedeschi, dopo anni di corteggiamento: «Se la possono sognare». E anzi «l’Alfa è centrale nella nostra nuova strategia», assicura Marchionne. «Ma come la Jeep è venduta in tutto il mondo ma è americana fino al midollo – riprende – così il dna dell’Alfa dev’essere autenticamente tutto italiano, sempre, non potrà mai diventare americano. Basta anche coi motori Fiat nell’Alfa Romeo. Così come sarebbe stato un errore produrre il suv Maserati a Detroit: e infatti resterà a casa».

Quale dunque il futuro della Fiat, dei marchi e stabilimenti? «Fiat andrà nella parte alta del mass market, con le famiglie Panda e Cinquecento, e uscirà dal segmento basso e intermedio. Lancia diventerà un marchio soltanto per il mercato italiano, nella linea Y», spiega Marchionne.

Ed ecco il quadro degli stabilimenti, del loro futuro produttivo, così come delineato dallo stesso Marchionne. Tenendo conto che un piano industriale più dettagliato, quello nuovo a quattro anni esatti dal «Fabbrica Italia» dell’aprile 2010 (e con una crisi incredibile in mezzo), verrà presentato appunto in aprile. «Nel polo Mirafiori-Grugliasco si faranno le Maserati, compreso un nuovo suv e qualcos’altro che non le dico – spiega il super manager – A Melfi la 500 X e la piccola Jeep, a Pomigliano la Panda e forse una seconda vettura. Rimane Cassino, che strutturalmente e per capacità produttiva è lo stabilimento più adatto al rilancio Alfa Romeo. Mi impegno: quando il piano sarà a regime la rete industriale italiana sarà piena, naturalmente mercato permettendo».

Quindi la promessa di saturare tutti gli impianti, anticipando che le risorse verranno da un «prestito convertendo» concesso dalle banche, ma senza rivelare le cifre.

Poi il nodo delle sedi: in Borsa, è probabile che New York diventi la piazza principale, e Milano secondaria («Non c’è dubbio che il mercato più fluido è quello americano, New York»). Mentre come sede operativa centrale, l’Olanda potrebbe sostituire Torino, più che altro per motivi fiscali. «È una questione che ha un valore puramente simbolico, emotivo – cerca di rassicurare Marchionne – La sede di Cnh Industrial si è spostata in Olanda, ma la produzione che era qui è rimasta qui».

Un «film già visto», commenta Landini. Con «fabbriche fantasma», perché «non possiamo diventare la repubblica delle banane dove si impara quello che fanno le fabbriche dalle interviste sui giornali». Alla domanda se si fida delle promesse di Marchionne sul rientro degli operai in fabbrica e sul rilancio dell’Alfa Romeo, il segretario Fiom risponde che il manager «ne ha dette tante».

Landini ha poi aggiunto che all’incontro di due giorni fa a Torino, «la Fiat ha dichiarato che non vuole discutere con nessuno il piano industriale, né con il governo né con i sindacati». «Negli Usa Marchionne non ha fatto interviste, ma accordi con Obama e i sindacati: ha detto quanto ci metteva, come faceva a ridare indietro i soldi, quali modelli faceva e quali tecnologie utilizzava». In Italia, invece, «siamo agli stabilimenti fantasma mentre a Termini Imerese occupano l’autostrada perché chiudono; chiudono l’Irisbus e mettono i lavoratori in cig. Dire che si rientra tutti in base al mercato, so già come va a finire, è un film già visto».