«La scelta più razionale sarebbe quella di chiudere uno o due stabilimenti in Italia anche per far fronte alla sovracapacità produttiva». Sergio Marchionne all’assemblea di Confindustria ieri a Firenze ha fatto balenare la sua minaccia preferita, salvo poi aggiungere che per ora si può soprassedere grazie agli investimenti all’estero, annunciando che la produzione nello stivale «porterà in 3-4 anni al pieno impiego dei lavoratori». Non servono aiuti di stato ma «un piano Marshall», cioè «un piano di coesione nazionale per la ripresa economica». Tanto ottimismo si scontra con la realtà dei siti produttivi.
Stanotte lo Slai Cobas, la Fiom e le donne del Comitato mogli operai saranno davanti ai cancelli della Fiat di Pomigliano d’Arco a vegliare, domani proveranno a bloccare il primo dei due sabati lavorativi ordinati dal Lingotto. I dipendenti andranno sulle linee senza ricevere lo straordinario, ma un paio di giorni di ferie in più a fine agosto. Dei circa 5 mila dipendenti dell’impianto campano, oltre la metà è in cassa integrazione e dal 2010 non ha più messo piede in fabbrica. Secondo la Fiom si tratta di esuberi di fatto, mascherati con gli ammortizzatori sociali. Le tute blu della Cgil da anni chiedono i contratti di solidarietà per riportare tutta la forza lavoro sulle linee. Il Lingotto però oltre le duemila assunzioni già fatte non intende andare. I due sabati serviranno a smaltire «un picco di produzione di vetture legate a commesse ricevute da aziende di autonoleggio». La protesta viene liquidata come «blocchi illegali». Il clima è teso. La replica arriva dal Comitato mogli operai: «È inutile il tentativo di additarci come persone che vogliono commettere un’illegalità. Non vogliamo impedire ad altri operai di lavorare, ma solo di far lavorare anche i nostri mariti». In gioco c’è la difesa dei livelli occupazionali non solo a Pomigliano ma anche nell’indotto, a cominciare dai 300 dipendenti Fiat del polo logistico di Nola (famoso come “reparto confino”) mai entrato in funzione, in cassa integrazione da oltre tre anni.
Stessa sorte per i lavoratori della Pcma Magneti Marelli (Ex Ergom), gruppo Fiat, in cig straordinaria per ristrutturazione da quattro anni. I 720 lavoratori dello stabilimento napoletano di via De Roberto sono ostaggio dell’azienda. In attesa di un piano industriale che non arriva mai, ieri si è ripetuta la solita scena: i sindacati in una stanza, la dirigenza in un’altra e l’assessore regionale al Lavoro, Severino Nappi, a fare da messo dell’azienda. «Ci hanno mandato a dire – spiega il segretario generale Fiom di Napoli, Andrea Amendola – che dobbiamo essere contenti che non procedono dal 9 luglio per cessata attività». La Fiat ha dato la disponibilità a chiedere ulteriori 12 mesi di cig per ristrutturazione, non si sa per quale produzione. Bisognerà attendere l’ennesimo incontro, di cui non è stata fissata la data.
Protestano anche gli ex operai Fiat di Termini Imerese, nel palermitano. A fine anno scadrà la cig, ma del piano di rilancio non c’è traccia. Sembrerebbero esserci contatti con tre imprese di biocarburanti, energia e trasformazione di motori. I sindacati, però, non si fidano e hanno organizzato per lunedì prossimo un sit-in davanti alla sede della presidenza della Regione a Palermo. Intanto ieri si è discussa in Cassazione l’opposizione del Lingotto contro la sentenza della Corte di appello di Potenza che aveva dato ragione ai tre operai Fiom di Melfi, licenziati in modo illegittimo con l’accusa di sabotaggio. In attesa della sentenza definitiva, il pm ha sostenuto essere inammissibile o comunque da respingere il ricorso della Fiat, soprattutto ha definito irrilevante la citazione di rinvio a giudizio disposta per i tre dal tribunale penale di Potenza, e allegata dall’azienda. Un rinvio a giudizio arrivato dopo tre anni, stranamente proprio nel momento più opportuno per il Lingotto.