Sperava di essere considerato un novello Cristoforo Colombo. Si è dovuto accontentare di un ruolo assai marginale. Sergio Marchionne ieri sera ha suonato sì la campanella di Wall Street, ma non quella di apertura in diretta planetaria, bensì quella di chiusura, molto meno appetibile dal punto di vista mediatico.La prima seduta post Columbus day è stata invece aperta dalla carneade – almeno per noi – Vectrus, uno spin off di Exelis che fornisce servizi di informazioni e tecnici per aziende.

Niente avviene per caso al New York Stock Exchange. Per il suo battesimo Fca è stata penalizzata dal fatto di non collacare azioni – nessuna Ipo, nessuna pubblicità: è la regola – ed è stata trattata dagli analisti allo stesso modo. Le cifre parlano chiaro: in fatto di capitalizzazione e di vendite Fca è lontanissima dai giganti americani Gm e Ford e dunque va trattata per le sue medie dimensioni. Parata in sordina dunque per Marchionne e per il rampollo di casa Agnelli, il presidente Fca John Elkann, che a New York è nato 38 anni fa. Il titolo nella sua prima giornata di quotazione americana è partito bene per poi passare in terreno negativo, mentre a Milano – seconda quotazione – a Piazza Affari Fca ha chiuso in rialzo dell’1,22% a 7,02 euro.

Marchionne ed Elkann ora partiranno per un road show a caccia di capitali in giro per l’America a cercare di vendere le azioni del recesso, i titoli rifiutati dagli azionisti di Fiat e Chrysler per un totale del 7 per cento del capitale complessivo: impresa tutt’altro che semplice. In più agli americani non sfugge il fatto che il nuovo gruppo avrà sede legale in Olanda e pagherà le tasse in Inghilterra, dove terrà tutte le assemblee societarie.

A Torino da ieri le nuove bandiere bianche Fca sventolano sul Lingotto. A parte la richiesta di un minuto di raccoglimento fatta dal consigliere comunale Guido Viale, l’aplomb sabaudo non è stato intaccato dalla novità.

Se le tasse societarie – specie i circa 30 milioni sui dividendi che nel 2012 sono stati oltre 1 miliardo – non entreranno più nelle casse del nostro erario, di italiano rimangono sempre gli 86mila lavoratori, buona parte di loro in cassa integrazione da anni. Per quanto riguarda gli stabilimenti Fiat e Cnh industrial (veicoli commerciali e movimentazione terra) si va verso un nuovo modello contrattuale. Uscito da Confindustria e quindi dal contratto nazionale nel 2011, ora Marchionne punta ad una nuova frontiera: il contratto aziendale totale. Ogni stabilimento avrà sue norme e sue paghe, in una corsa alla produttività che si traduce naturalmente al contrario a tagliare salari e diritti.

Il tutto con il solido appoggio dei sindacati firmatari dell’ultimo contratto nazionale – Fim, Uilm, Ugl, Fismic e Associazione quadri. Che ieri hanno proposto alla Fiom il passaggio dalle attuali Rsa aziendali alle Rsu in base all’accordo sulla rappresentanza, avversato dai metallurgici Cgil. La Fiom ha rilanciato chiedendo l’immediata nomina degli Rls – i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza – in quota Fiom, ultima apartheid rimasta dopo la sentenza della Corte costituzionale.

Il panorama degli impianti italiani è nel frattempo poco lusinghiero. Se a Melfi si è partiti con il terzo turno notturno per produrre la nuova 500X e la Jeep Renegade, a Mirafiori e Cassino si attendono ancora i nuovi modelli con il ventilato rilancio Lancia che sta diventando un nuovo Aspettando Godot. Pomigliano è alle prese con la cassa e con prospettive incerte senza un secondo modello che affianchi la Panda.

Per chiudere il quadro dell’ex prima azienda del Paese, se sabato i lavoratori di Termini Imerese hanno dato il loro disperato via libera alla trattativa con Grifa – il chiacchierato gruppo messo assieme coi soldi pubblici della regione Siciliana e da Energy Crotone 1 che si occupa di energie alternative, guidata dal 72enne commercialista Augusto Forenza – ieri invece pare essere compiuto il passo decisivo per la partenza di Industria italiana autobus, la società a capitale a maggioranza cinese che accorperà l’ex stabilimento Fiat Irisbus – il primo chiuso da Marchionne in Italia nel 2011 – e la Bredamenarini di Bologna – proprietà Finmeccanica. L’ultimo ostacolo era proprio il via libera di Fiat sulla cessione dello stabilimento. Dopo mesi di tira e molla, ieri il Lingotto ha deciso per la cessione del ramo d’azienda. Non proprio l’inizio migliore per una nuova impresa.