Maurizio Landini evita giri di parole. Sceglie un parallelo secco e una proporzione efficace. «La Fiat è come Berlusconi, non rispetta le sentenze della Corte Costituzionale. Entrambi hanno la stessa allergia nei confronti della Carta. Gli altri sindacati assomigliano, invece, agli alleati del Cavaliere nel governo delle larghe intese». Il segretario della Fiom parla davanti ai suoi delegati, sotto il sole di un parco torinese (Giardini Ginzburg), che ospita Fiumana, la festa dei metalmeccanici. «L’accordo di mercoledì su Mirafiori è un fatto di una gravità inaudita. Cisl, Uil e Ugl non vogliono l’unità sindacale, ma accettano il ricatto della Fiat».

Il giorno dopo il plauso indifferenziato alle eterne promesse di Sergio Marchione, da parte di Bonanni, Angeletti e del ministro dello Sviluppo economico Zanonato (e di molta politica, sindaco Fassino compreso), il clima in casa Fiom è ben diverso. Distante mille miglia dal coro osannante. Il Lingotto ha assicurato un miliardo di euro per produrre a Torino, nella fabbrica simbolo del gruppo, un suv Maserati e in futuro un altro modello, forse l’ammiraglia o un suv dell’Alfa Romeo. Landini non è, usando un eufemismo, ottimista, non perché contrario agli investimenti, ma perché «non siamo all’uscita dal tunnel, ma stiamo assistendo al tentativo di spegnere progressivamente Mirafiori». Precisa: «Non c’è alcun impegno scritto su cosa si farà e con quali tempi. Il polo del lusso non può garantire l’occupazione attuale a Mirafiori. Non conosco stabilimenti con 5 mila operai che stanno in piedi solo con un Suv. A spanne, almeno la metà non rientrerà al lavoro».

E quelle firme in calce all’intesa di mercoledì a Roma, dalla quale ancora una volta è stata esclusa la Fiom, cosa significano? «Sono in contraddizione con l’accordo interconfederale del 31 maggio. È un fatto molto grave, un po’ eversivo. Gli altri sindacati hanno firmato un accordo contro i principi della sentenza della Corte Costituzionale. Il documento afferma che l’unico punto di riferimento è il contratto specifico di primo livello e che solo chi lo firma ha diritto all’esigibilità». Nemmeno il tempo di metabolizzare la svolta di pochi giorni fa, con cui Marchionne ha deciso di dar seguito alla sentenza della Consulta (l’ok alla nomina di delegati Fiom), che il Lingotto ripropone il solito schema ad excludendum: «Formalmente la Fiat riconosce i nostri delegati – spiega Landini – ma poi fa un accordo per dire che saranno gli altri sindacati a ricorrere contro chi non accetta quell’accordo. La Corte ha detto che un sindacato non esiste solo quando firma gli accordi ma se è rappresentativo». Secondo la Fiom, si ripropone lo stesso atteggiamento usato a Melfi: lavoratori licenziati e reintegrati dal giudice pagati purché non rientrino in fabbrica.

Le promesse di Fiat si accavallano da tre anni, ma finora – concretamente – il gigante Mirafiori ha conosciuto solo cassa integrazione. Nel novembre del 2010 Marchionne all’Unione industriale di Torino dichiarò che per dare da lavorare a tutti i dipendenti di Mirafiori servivano 250-280 mila auto e che non c’era tempo da perdere. Sono così seguiti annunci presto smentiti, a partire dalla 500L, che doveva essere prodotta sotto la Mole ma è volata rapidamente in Serbia. Difficile, dunque, pensare che Mirafiori ora possa sfornare mille Suv al giorno e poi la Fiat venderli. Lo scetticismo di Landini riguarda pure i tempi dell’annuncio del Lingotto. È scattato alla vigilia della scadenza degli ammortizzatori: «Se non avesse presentato un progetto ad hoc non avrebbe avuto diritto ad altra cig». La situazione di Mirafiori e dell’indotto (poco citato, ma al tracollo) resta dunque, secondo la tute blu, irrisolta.

La Fiom ha inviato al governo Letta, insieme con la Cgil, la richiesta di un incontro sulla Fiat: «Corriamo il rischio che l’intero sistema industriale e occupazionale venga cancellato. E ciò sta avvenendo in assenza della politica e del governo che è impegnato a discutere come si salva Berlusconi e non delle vicende del lavoro. Non c’è un tema di politica industriale o di investimenti che sia stato sbloccato. Il vero problema è riprendere gli investimenti».

Landini lo ribadisce: «Vogliamo che il governo convochi un tavolo per discutere, come si è fatto negli altri Paesi, di prospettive e investimenti». Il segretario si è rivolto anche alla sua casa madre, la Cgil: «Nei prossimi mesi sarà impegnata nel dibattito precongressuale, chiediamo si faccia una discussione vera, aperta, democratica, perché non c’è solo una crisi della rappresentanza politica ma anche sindacale».

Rappresentanza, partecipazione, diritti. Il nodo attuale della questione è, secondo Landini, costituzionale. «È grave che su questioni diverse, persone che si muovono in ambiti diversi, politico l’uno (Berlusconi, ndr), economico gli altri (Fiat, ndr), abbiano nei fatti una reazione simile, e cioè che bisogna cancellare la Costituzione. Una logica grave che non mette soltanto a rischio il lavoro ma la tenuta e il significato democratico della nostra Repubblica». Qui, risiede, buona parte degli intenti dell’assemblea in programma domenica a Roma (ore 10,30 centro congressi Frentani), convocata da Landini insieme a Stefano Rodotà, Gustavo Zagrebelsky, Lorenza Carlassare e Luigi Ciotti, per riunire i soggetti che «non solo difendono la Costituzione, ma la applicano».
Alla sera il segretario sarà ancora una volta a Torino, a Fiumana, con Nichi Vendola e Fabrizio Barca per dialogare sul futuro della sinistra. Chissà che non siano le impalcature per un futuro diverso.