Paga una multa di 2.654 euro, scarica tutta la responsabilità sull’ex direttore dello stabilimento Fiat di Pomigliano d’Arco, Sebastiano Garofalo, ed esce con l’estinzione del reato dal procedimento penale del tribunale di Nola, avviato dall’esposto della Fiom che denunciava il Lingotto per comportamento antisindacale. Secondo quanto ha testimoniato, Sergio Marchionne proprio non sapeva che nell’impianto del napoletano, nel passaggio a Fabbrica Italia Pomigliano, erano state eliminate tutte le tute blu iscritte alla Cgil, lasciate a casa in cassa integrazione a zero ore. Si sarebbe trattato di «scelte di politica aziendale poste in atto dai dirigenti torinesi e campani del gruppo».

La Fiom aveva già vinto la causa civile, che ha disposto il reintegro dei 19 ricorrenti e, in proporzione alle unità di lavoratori impiegati, progressivamente anche degli altri iscritti. Il sindacato però aveva deciso di fare anche un esposto penale. Così i pm hanno indagato, interrogando lavoratori e delegati: alla vigilia del rinvio a giudizio l’amministratore della Fiat ha preferito la via della conciliazione. Pagando l’oblazione, Marchionne esce a buon mercato dal processo, il 28 ottobre sarà la volta di Garafolo che, fedele alle affermazioni dell’ad, si è assunto tutta la colpa chiedendo di patteggiare: per lui ci sarà un’ammenda di 15.600 euro.
Il procuratore capo di Nola, Paolo Mancuso, e la pm Cristina Curatoli non sembrano particolarmente impressionati dalle dichiarazioni di Marchionne ma l’ingresso a Pomigliano degli iscritti Fiom, secondo i magistrati, segna comunque un cambio di strategia rispetto alla vecchia direzione: «In tale sede l’indagato ha dichiarato di non essere a conoscenza delle scelte di politica aziendale poste in atto dai dirigenti torinesi e campani del gruppo: di tale dichiarazione, al di là di ogni valutazione sulla sua credibilità in questa sede, va preso atto in considerazione delle scelte, ben diverse dalle precedenti, adottate dal gruppo datoriale a valle di tale momento». Il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini, ha inviato una lettera ai pm in cui conferma il differente clima in fabbrica: «Ritengo allo stato che, se questa situazione si manterrà stabile, siano state superate le ragioni di conflitto nelle fabbrica di Pomigliano che avevano portato agli esposti».

Dopo gli accordi sottoscritti a maggio, sono tornati a lavoro 30 iscritti Fiom ma i problemi non sono tutti risolti: «Siamo presenti nello stabilimento – ha spiegato il responsabile del settore automotive per la Fiom di Napoli, Francesco Percuoco – ma non ci è garantita la piena agibilità sindacale. Si cerca di tenere i lavoratori lontani da noi. I sindacati firmatari posso utilizzare un monte ore di cui non ci è dato sapere la grandezza mentre a noi sono concesse solo otto ore al mese. Se chiediamo spiegazioni ci dicono che loro hanno sottoscritto il contratto e hanno diritto a privilegi». Critico lo Slai Cobas: «Tanto rumore e denunce alle procure di tutta Italia per poi consentire all’ad di cavarsela con un’ammenda. La Fiom ha scaricato i 300 lavoratori del reparto di Nola e salvato in calcio d’angolo Marchionne con la stipula della conciliazione, consentendo alla Fiat di dimostrare in tribunale il “mutato clima delle relazioni sindacali in fabbrica”».

Alle tensioni tra confederazioni e Fca si è aggiunta da questo mese anche l’incertezza sulla produzione dell’unico modello assegnato a Pomigliano, la Panda. Per la prima volta gli operai del segmento A fanno 10 giorni di cassa integrazione (dal 16 al 27) e il mese prossimo si replica (dal 31 al 10 novembre). Si tratta dei circa 2mila che fino ad ora avevano sempre lavorato, fuori ce ne sono altrettanti che fanno la cig a rotazione.