Il primo sondaggio effettuato a Roma dopo la virata dell’ex Cavaliere non è precisamente consolante: secondo Deligo, il soccorso di Guido Bertolaso e di re Silvio costa subito a Alfio Marchini il 2,9%. Voti che sembrano andare proprio a Giorgia Meloni, che sale appunto del 2,5%. Marchini e il socio, per la verità, fanno il possibile per recuperare quei voti di destra che sembrano calamitati dalla rivale. Non solo l’ex «libero dai partiti» ha accolto a braccia aperte Francesco Storace, ma si è anche entusiasmato: «E’ un fascista de core». Quello rincara: «Non chiedetemi di essere antifascista». Non pago, il candidato di Silvio arruola anche Gianni Alemanno e la sua Azione nazionale. Possibile che nessuno gli abbia spiegato che a Roma Alemanno è una specie di re Mida al contrario? L’ex sindaco, poi, peggiora il quadro spiegando che corre da «Arfio» perché «è stata completamente ignorata la disponibilità a convergere su Meloni». Quando si dice un’adesione convinta….

Anche Arcore ci mette del proprio per tingere di nero la candidatura bianca che piace a Casini, Fini e Caltagirone. Piazza in testa alla lista azzurra Alessandra Mussolini, e vediamo un po’ se il cuore nero capitolino si sottrae al fragoroso «A noi!». Può essere che la virata a destra aiuti. Però è improbabile. Quella per ereditare i voti dell’ex Pdl, nella Capitale, non è una sfida a chi è più o meno «de destra», ma a chi meglio incarna la rabbia delle borgate. Non è facile che tocchi proprio al bell’Alfio che anzi rischia, con il sostegno di tutto il vecchio Gotha del centrodestra, di perdere quel tanto di smalto che poteva vantare.

Di fatto, tra i tre inseguitori partiti più o meno alla pari della testa di serie Virginia Raggi, il rampollo dei palazzinari e dei rentiers romani è quello che ha meno probabilità di farcela. Nasce di qui un certo ottimismo che serpeggia nel Pd (ma non ai vertici): se Roberto Giachetti dovesse farcela per un soffio, al ballottaggio incasserebbe i voti di Marchini e potrebbe compiersi il miracolo. Sempre che la competizione tra «moderati» non faccia premio su quella interna alla destra, finendo per avvantaggiare proprio la Meloni.

Molto dipenderà dalla campagna elettorale, intesa però non come guerricciola tra piazzisti, ma come il momento in cui, almeno un po’, i concorrenti dovranno scoprire le carte. Da questo punto di vista il primo appuntamento davvero importante è quello, fissato per lunedì prossimo, tra il presidente del Coni Giovanni Malagò e la candidata a 5 Stelle. Seguiranno colloqui con tutti gli altri candidati. Sul tavolo una questione dirimente: la candidatura di Roma per le Olimpiadi 2024. Malagò è uno degli elementi chiave nel blocco di potere che a Roma fa il bello e il cattivo tempo da sempre, quello che decide, fa affari e condiziona la politica dalle sale dei vari circoli canottieri. A quegli interessi sia il centrodestra che il centrosinistra si sono sin qui inchinati, vuoi per vocazione, vuoi per paura delle cannoniere mediatiche di cui quel blocco dispone, e che usa senza misericordia. Con la Raggi, la musica potrebbe cambiare. Sulla disponibilità di Marchini, che di quel potere è espressione diretta, ci sono pochi dubbi. Ma Giachetti e il suo assai compromesso partito, alla fine, una posizione dovranno prenderla.

Roma sarà con Milano e Napoli il principale campo di battaglia in una sfida che avrà per forza una enorme valenza politica nazionale. Ma qualcosa di importante già racconta anche Cosenza. Lucio Presta, il candidato imposto senza primarie dal Pd spalleggiato da Denis Verdini, si è ritirato. Al suo posto è spuntato un candidato di fattezze diverse: Carlo Guccione, tanto «uomo di partito» quanto Presta era «uomo di mondo». I verdiniani cosentini, che contano tra i dirigenti il nipote di Giacomo Mancini, fattore importante in una città dove tutti si contendono l’«eredità» di Mancini, sono accorsi entusiasti. L’Ncd ha scelto invece di sostenere l’altro candidato, sempre di centrosinistra, Enzo Paolini. E’ un ulteriore abbraccio tra gli amiconi toscani, Matteo e Denis. Niente di male, figurarsi: se solo Renzi smettesse di nascondere l’alleato nell’armadio come una moglie fedifraga con l’amante, all’arrivo inatteso del consorte.