«Il problema vero è che non siamo preparati per una campagna elettorale come questa». Un antico esponente del Pd marchigiano la vede così, con la disillusione di chi in carriera ha vinto moltissimo ma ha anche perso non poco. «Qui nelle Marche – prosegue – il centrosinistra è abituato a comandare da sempre e siamo in troppo pochi a sapere come si gestisce una situazione in cui partiamo in svantaggio». Paura, scarsa lucidità, dichiarazioni non sempre coerenti e talvolta completamente sfasate («I cittadini non sono abituati alla politica», si è lasciata sfuggire un’aspirante consigliera regionale durante un comizio in provincia di Ascoli).

Da queste parti c’è una classe dirigente che per decenni non ha avuto bisogno di imparare la differenza tra un giorno di sole e uno di pioggia, di conseguenza non sa come affrontare le nubi nere che all’orizzonte annunciano tempesta. I sondaggi parlano tutti la stessa lingua: secondo gli ultimi pubblicati, la destra è clamorosamente in vantaggio, talmente tanto che qualcuno pensa che la partita sia già finita. Francesco Acquaroli (Fdi) contro Maurizio Mangialardi (Pd) finisce 51.8% a 36.1% per Winpoll, 49% a 35.8% per Ipsos, 54.5% a 38% per Swg, 51.5% a 36% per Tecné. Un distacco così grande che nemmeno l’alleanza con il Movimento 5 Stelle (ovunque stimato tra l’8% e il 10%) sarebbe in grado di colmare. Più in là praticamente non c’è nulla: la lista del filosofo Roberto Mancini, Dipende da noi, è tra l’1% e il 3%, esattamente come Comunista! di Marco Rizzo, che nel suo tour marchigiano della settimana scorsa non ha nascosto l’ambizione di vincere almeno il derby a sinistra del Pd.

Un po’ per posa e un po’ perché comunque mancano ancora quasi due settimane all’appuntamento con le urne, c’è comunque chi prova a non perdersi d’animo. «In tutti i confronti Mangialardi sta stracciando Acquaroli 3 a 0 – dice il sindaco di Pesaro Matteo Ricci -, più calano gli indecisi e più saliamo noi. Le Marche sceglieranno la rinascita, non l’estrema destra». Anche il segretario regionale Giovanni Gostoli ostenta una dose invidiabile di ottimismo della volontà: «In questi giorno sono usciti sondaggi che raccontano storie diverse. Alcuni persino strumentali. La verità è che i marchigiani hanno cominciato ora ad interessarsi alle elezioni regionali. La partita si giocherà su una manciata di voti e saranno gli indecisi a fare la differenza». Indecisi che, secondo i sondaggi, sarebbero moltissimi, tra il 15% e il 20% di chi dichiara che andrà a votare. Le basi per coltivare una qualche speranza ci sarebbero pure, ma per vincere bisognerà convincerli quasi tutti questi indecisi. Un’impresa non semplicissima.

Gli schemi stanno saltando: date per perse in partenza le province di Ascoli, Fermo e Macerata, il centrosinistra crede di poter fare il pieno nei più popolosi territori di Ancona e Pesaro. Basterà? Dall’altra parte della barricata, intanto, gongolano: Giorgia Meloni sogna di diventare la regina dell’Adriatico. Con due vittorie nelle Marche e in Puglia, e l’Abruzzo già acquisito un anno fa, Fratelli d’Italia avrebbe in effetti il controllo di quasi tutta la costa est. Matteo Salvini mastica amaro e si sta facendo vedere pochissimo, anche se i sondaggi danno la sua Lega stabilmente al primo posto nei voti di lista, con circa cinque punti di vantaggio sull’alleata. In tutto questo a sparire è Acquaroli, che nei comizi intelligentemente non parla e lascia che i suoi leader nazionali prendano i voti al posto suo.

Nel centrosinistra siamo quasi al tutti a casa: c’è chi ha già smesso di fare campagna elettorale per non buttare via soldi e chi, a questo punto, proverà a fare il colpaccio per lanciare l’opa sulle future macerie del Pd. Chi negli ultimi anni è stato messo in disparte nei territori sogna di tornare in grande stile, tra questi c’è anche il presidente uscente della regione Luca Ceriscioli, trattato a pesci in faccia eppure ancora messo piuttosto bene nelle classifiche di gradimento (sarebbe sopra il 50% secondo l’istituto Noto). Il resto, a questo punto, è contorno, con molte recriminazioni e un clima da congiura delle polveri, nel drammatico e confuso tramonto di una classe dirigente che si credeva eterna.