Sono ore febbrili nella trattativa per portare il Movimento 5 Stelle nella coalizione di centrosinistra per le regionali delle Marche. Ieri il gruppo pentastellato in consiglio si è sciolto: su quattro superstiti, in due hanno deciso di passare al gruppo misto (il candidato alla presidenza del 2015 Giovanni Maggi e Romina Pergolesi) mentre gli altri due si ricostituiranno utilizzando il nuovo simbolo del M5S, diverso rispetto a quello di 5 anni fa.

Maggi e Pergolesi (quest’ultima in transito verso Articolo Uno) spingono per l’alleanza con il Pd e picchiano come fabbri sulla debolezza strutturale del M5S nelle Marche. «Nel collegio di Ancona – dicono – ci sono solo cinque candidati su nove posti e si sta cercando di coinvolgere quattro amici fidati per completare la lista, saltando la base».

Base che viene evocata anche per decidere il da farsi sulla coalizione: gli appena fuoriusciti vorrebbero un voto sulla piattaforma Rousseau, eventualità che, però, al momento non sembra essere all’orizzonte. La decisione passerà per i vertici nazionali che contano prima di risolvere l’impasse in Liguria, dove pure il blocco demostellato è fermo in mezzo al guado a poche settimane dall’inizio della campagna elettorale. Il fiato corto, sia in casa Pd sia dalle parti dei 5S, viene quando si dà un’occhiata ai sondaggi: nelle Marche il centrodestra di Francesco Acquaroli (Fdi) sarebbe avanti almeno di 5 punti e il Movimento, di contro, appare pericolosamente vicino alla soglia di sbarramento.

Le ragioni aritmetiche per unirsi e provare a rientrare in carreggiata, però, devono necessariamente diventare anche punti politici, altrimenti il rischio è che vada a finire come in Umbria, dove nove mesi fa la prima alleanza giallorossa è stata sbriciolata dalla leghista Donatella Tesei. È per questo che il pontiere Gianluca Busilacchi (Articolo Uno) ce la sta mettendo tutta per trovare un’intesa prima di tutto di natura programmatica con il M5S. «Il problema – confessa un grillino molto ortodosso – è che la trattativa in sé non esiste: ci chiedono di unirci a una coalizione che ha già pronto tutto, dal candidato al programma. Noi dovremmo soltanto portare i nostri voti…».

Il candidato del centrosinistra Maurizio Mangialardi, in effetti, è già in piena campagna elettorale e ogni giorno gira per la regione, apre tavoli, interviene in dibattiti, presenzia in conferenze, arringa le associazioni di categoria, riempie i teatri e prova a convincere tutti che l’impresa di battere la destra è possibile. «Partiamo in leggero svantaggio – ha ammesso durante un incontro a San Severino, in provincia di Macerata -, ma io ho 120 sindaci dalla mia parte». Il refrain da qui alle elezioni di settembre, per il resto, riguarderà la necessità di alzare gli scudi per respingere «la destra nostalgica» il cui candidato al momento si ricorda solo per una serie di foto che lo immortalano a una cena dell’ottobre scorso per celebrare la memoria della Marcia su Roma. Il comitato elettorale di Mangialardi si confronta spesso con i tipi dell’agenzia Consenso di Faenza, già vista all’opera qualche mese fa in Emilia Romagna al fianco del vittorioso Stefano Bonaccini, e molte delle frasi che si dicono sembrano essere in qualche modo un seguito di quella campagna, se poi i risultati saranno gli stessi è però tutto da dimostrare.
La grande incognita, al netto di tutto, resta però nei numeri e bisognerà capire quanto un Pd abituato a farla da padrone nelle Marche sarà capace di vestire i panni dell’inseguitore di una destra mai così forte.