Dieci giorni di vita, tre pazienti, trentaquattro tra medici e infermieri, dodici milioni di euro. L’annunciatissimo flop del Covid Center di Civitanova Marche è tutto in questi numeri: una struttura pensata quando il sistema sanitario sembrava sul punto di crollare, a metà marzo, poi vittima di svariati ritardi in sede di lavori e infine inaugurata quando la pandemia ormai era finita, tra le proteste dei medici obbligati ad andarci a lavorare in aggiunta al proprio orario di lavoro.

IERI SERA, ALLE 20, l’astronave progettata da Guido Bertolaso – che peraltro ha anche preso il coronavirus ed è rimasto distante dalle scene due settimane tra marzo e aprile – e realizzata con il contributo dell’Ordine di Malta ha chiuso i battenti: l’ultimo paziente, dopo due tamponi negativi, è stato mandato via nel pomeriggio e non sono in programma altri trasferimenti. Restano in servizio gli uomini della vigilanza privata a sorvegliare i macchinari (non tutti, alcuni, presi in affitto, torneranno indietro) e gli addetti alle pulizie. Via anche le medicine e «i materiali deperibili», per una cattedrale nel deserto che da oggi diventa essa stessa deserto.

«Si tratta di uno stand by», si affretta a giustificarsi il direttore dell’Area Vasta della provincia di Macerata Alessandro Maccioni. In realtà si tratta di una resa: sarà la Regione, eventualmente, a decidere in futuro se «inserire la struttura in una programmazione sanitaria più ampia», ma ormai gli ospedali marchigiani hanno avuto modo di prendere le misure dell’emergenza e nel malaugurato caso che si dovesse registrare un nuovo aumento dei contagi, assicura tra gli altri l’ex dirigente sanitario Claudio Maffei, «saremmo pronti».

Quella marchigiana è la seconda impresa anti-Covid fallita da Guido Bertolaso: dopo quello di Milano, il caso di Civitanova si presenta come una nuova conferma di una linea che è apparsa «incomprensibile» (ancora a detta di Maffei) sin dal primo momento, anche perché tutti i medici intervenuti nel dibattito hanno sempre sconsigliato di portare lì i pazienti Covid, in mancanza di reparti oltre alla terapia intensiva e a quella subintensiva.

COME LA LOMBARDIA, anche le Marche hanno deciso di non reinvestire in strutture già esistenti e chiuse da pochi anni (tra Pesaro e Ascoli sono 13 gli ospedali dismessi dal 2010), ma di riconvertire un’area commerciale destinata alle fiere. Con la scusa dei tempi strettissimi e dei troppi lacci e lacciuoli burocratici, poi, la raccolta dei fondi non è stata gestita dalla Regione, ma dall’Ordine di Malta, che ha messo a disposizione un conto corrente con l’invito ai cittadini e alle aziende di contribuire con donazioni liberali. L’impresa è riuscita solo fino a un certo punto, se si considera che 5 dei 12 milioni totali sono stati scuciti dalla Banca d’Italia, che certamente non è un istituto di credito privato. Non solo, la Regione ha anche dovuto stanziare dei fondi perché l’avveniristica astronave (copyright Bertolaso) potesse decollare: 4 milioni per le utenze e la gestione e altri 2 milioni per il futuro smantellamento totale di un’opera da sempre concepita come provvisoria.

Alla fine, questi soldi sono serviti per accogliere tre persone, tutte provenienti dall’ospedale di Camerino, qualche decina di chilometri a ovest di Civitanova.

SUL PIANO POLITICO, poi, l’astronave rappresenta anche il sigillo finale del complicato quinquennio di governo regionale di Luca Ceriscioli, che, dopo essersi fatto da parte, adesso vorrebbe ricandidarsi a settembre anche se il suo partito, il Pd, non lo vuole più e ha già ufficializzato un altro nome. I suoi unici alleati nell’affare civitanovese, per caso e per calcolo, sono stati quelli della Lega.

BERTOLASO, DAL CANTO SUO, sta proseguendo il suo giro d’Italia in qualità di esperto di emergenze: dopo i disastri di Milano e di Civitanova, attualmente è in Sicilia, evocato dal governatore Nello Musumeci come coordinatore del progetto sicurezza regionale in vista di una non meglio definita «fase due e mezzo». L’ex capo della protezione civile ai tempi del terremoto di L’Aquila lavora da Trapani, dove ha ormeggiato la barca a vela che usa come dimora.