La chiamata torinese alla mobilitazione contro l’ingresso delle associazioni cattoliche nei consultori ha trovato risposta là dove più che altrove il problema appare grave: nelle regioni del centro Italia ormai quasi completamente in mano alla destra: l’Umbria, le Marche e l’Abruzzo, la prima guidata dalla Lega e le altre due da Fratelli d’Italia. Il partito di Matteo Salvini, peraltro, in tutte e tre queste regioni esprime l’assessore alla Sanità, con tutto quello che ne consegue.

La giornata di ieri è cominciata con dei presidi dell’Udi (Unione donne in Italia), con il supporto della Cgil, davanti ai consultori di Perugia, Terni e Città di Castello.

In Umbria, la giunta guidata da Donatella Tesei sta lavorando a una legge regionale per consentire alle associazioni antiabortiste di entrare nei consultori pubblici per fare la loro propaganda, andando all’attacco della natura laica del sistema dei servizi sanitari e sociali della Regione.

Non solo, nei piani della Regione c’è anche la chiusura del Centro Antiviolenza residenziale di Perugia, che in pochi anni ha ospitato oltre mille tra donne e minori. L’ultima nota, quasi di colore, riguarda la decisione del Comune di Foligno di istituire una giornata «per la sanità della vita nascente», senza ovviamente prendere in considerazione le donne e il loro corpo.

«Si tratta di un attacco ai fondamenti della legge 194 – dicono le donne delle Cgil di Perugia e dell’Umbria sulla situazione della loro regione -, un attacco diretto al principio di autodeterminazione delle donne, che punta ad azzerare decenni di lotte e impegno».

La giornata di protesta è proseguita online, nel pomeriggio, con l’iniziativa «La Lega non ci lega. Indietro non si torna» organizzata dalla Rete Umbra per l’Autodeterminazione.

«I consultori non possono limitarsi a garantire percorsi di accompagnamento alla nascita, o la cura di sintomatologie – sostengono gli organizzatori -, ma dovrebbero promuovere la salute sessuale e riproduttiva di tutte le donne e le soggettività lgbtqi+, di tutte le età, l’educazione sessuale, la contraccezione gratuita e l’accesso all’aborto farmacologico». All’incontro hanno partecipato, tra gli altri, associazioni femministe delle Marche e dell’Abruzzo.

Ad Ancona, nel frattempo, i centri sociali marchigiani sono scesi in piazza contro la discutibile gestione della sanità regionale, con un focus particolare sulla complicata situazione legata al Covid, tra terapie intensive in difficoltà e una campagna vaccinale che non riesce a decollare. L’occasione è stata utile anche per ricordare quanto le Marche, da quando ha vinto la destra lo scorso autunno, abbiano smesso di essere una regione attenta ai diritti delle donne. Appena insediato, infatti, il governatore Francesco Acquaroli ha dato seguito a quanto promesso in campagna elettorale, annunciando che la pillola abortiva non verrà distribuita nei consultori, in aperta opposizione alle linee guida del ministero della Sanità.

Nel tragico della situazione, ad ogni modo, c’è stato anche spazio per un momento farsesco di notevole livello quando il capogruppo di Fratelli d’Italia ha dichiarato in consiglio regionale che «in famiglia il papà detta le regole e la mamma accudisce». A rispondergli ci ha pensato la leader del suo partito, Giorgia Meloni: «A casa mia le regole le faccio io». E per casa sua, chiaramente, si intende anche il suo partito.