Era stata organizzata già mesi fa, ma sulla scia dell’attacco terroristico a Westminster di mercoledì era stata messa in forse, provocando anche una spaccatura fra i due principali comitati organizzatori.

«MARCH FOR EUROPE» alla fine la manifestazione anti-Brexit nel centro di Londra si è tenuta lo stesso. Ed è stata un sonoro successo, evidenziando in modo spettacolare un’altra spaccatura: quella che attraversa il paese tutto. Approfittando anche della mitezza della giornata primaverile, decine di migliaia di partecipanti, in molti avviluppati nella bandiera dell’Unione europea, hanno percorso un itinerario nel centro della città che andava da Park Lane, davanti a Hyde Park, per arrivare a Westminster. Lì è stato osservato un minuto di silenzio e sono stati deposti fiori in memoria delle vittime del raid di Khalid Masood. Inizialmente erano attese dalle venti alle cento mila persone: i tragici eventi di mercoledì avevano indotto uno dei due comitati, l’European Movement Uk, presieduto dall’ex deputato conservatore Stephen Dorrell, a cancellare. Ma gli altri due, Unite for Europe – nato unicamente per organizzare la manifestazione – e Britain For Europe, hanno deciso di tirare dritto per non sprecare la simultaneità con le celebrazioni del sessantesimo anniversario di quella che sarebbe diventata l’Unione europea, in svolgimento a Roma.

DOVE THERESA MAY, che proprio mercoledì prossimo 29 marzo metterà in moto il processo di uscita applicando l’Articolo 50 del trattato di Lisbona, era naturalmente assente. Con buona pace del Sun e del Daily Mail, che strillavano denunciando l’affronto alle vittime e la pressione ulteriore sulle già assai gravate forze di polizia.

È stato il corteo dei rappresentanti di quel 48 per cento di remainers che ha perduto il referendum. Una congerie interpartitica che ha visto una massiccia presenza di simpatizzanti liberal-democratici, oltre naturalmente ai molti cittadini europei residenti a Londra e investiti direttamente dall’incertezza dei prossimi mesi. Ma anche di laburisti moderati. C’erano pure quei conservatori «illuminati» e filo-Eu che non si riconoscono nell’approccio semi-eurofobico che Theresa May – lei stessa fino a poco prima delle dimissioni di David Cameron causate dalla vittoria del Leave, favorevole a rimanere in Europa – ha abbracciato ormai nettamente.

NEL COMPLESSO, una folta rappresentanza di quella che qui i tabloid chiamerebbero l’élite liberale (e che questa ribatte definendo populisti). E i lib-dem, partito che deve il proprio scampato annichilimento proprio alla provvidenziale sconfitta del Remain – è l’unico a richiedere apertamente un impossibile secondo referendum – ha così potuto tingere di giallo, il proprio colore, la manifestazione (l’altro era naturalmente il blu dell’Ue).

Negli interventi finali hanno dunque parlato Tim Farron, attuale segretario lib-dem e l’ex leader Nick Clegg. «Theresa May non sta applicando la volontà popolare», ha detto Farron, riferendosi alla retorica della premier nell’applicare una hard (fuori del mercato unico) Brexit, «La sta interpretando».

A PARLARE PER IL LABOUR, cui Jeremy Corbyn ha imposto una linea di rigore pro-brexit nel tentativo di arrestare una temuta emorragia di voti verso l’Ukip, l’unica personalità di spicco era il deputato londinese di Tottenham, David Lammy. Da segnalare anche la presenza del mefistofelico ex-spin doctor di Blair, Alastair Campbell, uno che di armi di distruzione di massa ne sa qualcosa.

Tutti hanno fatto naturalmente a gara nel sottolineare quanto deleteria sia la linea di May. Ma che la condotta della premier ormai sia apertamente ostaggio del manipolo di svitati ultrà euroscettici indistinguibili dall’Ukip della destra del suo partito (quelli che David Cameron in tempi ormai lontani definiva in modo sprezzante loonies) è ampiamente dimostrato dall’altra notizia di ieri.
Proprio poco prima che il corteo arrivasse a Westminster, il torvo Douglas Carswell – ex euroscettico Tory, unico deputato eletto in parlamento dell’Ukip e bestia nera di Nigel Farage – annunciava le sue dimissioni dal partito.

Un fatto che rafforza due certezze: in primo luogo che l’Ukip – Farage in testa – consista di un manipolo di esecrabili faccendieri che lo usano per il proprio tornaconto politico. E poi che l’Ukip stesso non serva più a niente: soprattutto ora che la stessa Theresa May sembra esserne diventata il leader.