L’8 luglio 1918 Marcel Duchamp, che ha da poco terminato Tu m’, il quadro con cui si congeda dalla pittura retinica, scrive una lettera all’artista dada Jean Crotti: «Ti ricordi le cuffie in caucciù di tutti i colori? Le ho acquistate, tagliate in piccole bande irregolari, incollate assieme, non in piano ma nel mezzo (in aria) del mio studio, attaccate con degli spaghi e dei chiodi al muro». Ricorda, aggiunge, la tela di un ragno, se non fosse per la sua natura policroma. È questa la genesi di Sculpture de voyage.
Non è la prima volta che Duchamp appende le sue opere, una pratica che corre parallela ai ready-made sin da Porte-bouteilles, oggetto della vita quotidiana in Francia nel 1914, scelto al Bazar de l’Hôtel de Ville con un gesto d’indifferenza visiva. Prima scultura-già-fatta, realizzata quando il sintagma ready-made non gli era ancora venuto in mente, è appesa nel suo studio newyorkese sulla 67ma Strada. Ricomparirà, ormai smaterializzata, deformata e ibridata con altri ready-made sotto forma di ombra in Tu m’. Una pratica tanto più originale se pensiamo che soltanto nel 1932 Duchamp nominerà le sculture di Calder «mobiles», e soltanto nel 1946 Calder realizzerà dei mobiles pieghevoli (per non citare Bruno Munari).
Priva di un’organizzazione strutturale, Sculpture de voyage è flessibile e può essere tirata a piacere – «la forma era ad libitum» –, al punto che si degrada presto e il caucciù è strappato dal vento. Sopravvive solo in una fotografia presa nel suo studio, in cui è difficile determinarne le dimensioni esatte, e in rare riedizioni effimere, a partire da quella di Richard Hamilton.
Da Tompkins a Marcadé
Se la vita di Duchamp è stata scandagliata giorno per giorno con un’ossessione maniacale unica nell’arte del XX secolo, se disponiamo di biografie documentatissime – da Calvin Tompkins a Bernard Marcadé –, se esistono approfonditi studi critici consacrati a una sola opera – William Camfield su Fontaine, Herbert Molderings su 3 Stoppages étalon –, rari sono i riferimenti a Sculpture de voyage. Quanto non le ha impedito di influenzare la storia della scultura, in Francia come negli Stati Uniti: la sua natura aleatoria e mutevole torna in Claude Viallat quanto in Robert Morris. E avrà un posto d’onore nell’imminente Suspension, la mostra che ripercorre la storia della scultura anti-gravitazionale (aprirà ad ottobre al Palais d’Iéna di Parigi).
Come indica il titolo, Sculpture de voyage è fatta per essere trasportata, piegata e messa in valigia. Non una valigia qualsiasi, ma quella che Duchamp prepara a New York nell’agosto 1918 prima d’imbarcarsi per Buenos Aires.
Un periodo in cui vicende personali e collettive s’incrociano, ricostruibile grazie alla corrispondenza con la sorella Suzanne e con Crotti, studiata per la prima volta da Francis M. Naumann in occasione della mostra TABU DADA, Jean Crotti and Suzanne Duchamp, 1915-1920 curata da William Camfield e Jean-Hubert Martin nel 1983 in diverse istituzioni (Kunsthalle di Berna, MNAM di Parigi, Museum of Fine Arts di Houston, Philadelphia Museum of Art).
Sulle prime Duchamp pensa di restare a Buenos Aires alcuni anni, sufficienti per tagliarlo, se non fuori dal mondo come è sua intenzione, perlomeno dall’ambiente nazionalista di New York. A Florine Stettheimer disegna la mappa dell’America, con una traiettoria che unisce New York a Buenos Aires, su cui scrive «27 giorni + 2 anni» (il soggiorno si è già ridotto). Accanto a New York leggiamo le date: 1915-1918, mentre Buenos Aires è localizzata dal punto di un punto interrogativo. Dopo un lungo viaggio in cui circola la voce sulla presenza di un sommergibile, sbarca a destinazione il 19 settembre 1918. In Argentina non conosce nessuno tranne i parenti di amici parigini, tenutari di un bordello, e senza spiccicare una parola di spagnolo.
La morte di Raymond
Se non fosse per la tragica morte del fratello Raymond Duchamp-Villon per febbre tifoide, che apprende il 7 ottobre, l’ambientamento procede bene: si rallegra all’idea di trascorrere due volte l’estate, esplora la città in cui alcune stradine gli ricordano quelle dietro Madeleine a Parigi. Il bilancio sarà tuttavia deludente: lo stile di vita non è frizzante come quello newyorkese. Mancano i balli pubblici e i night club, la cui infima qualità è paragonabile a quelli di terza categoria di Montmartre; la vita sociale è tutta al maschile, composta da persone facoltose e di cattivo gusto. A parte il tango, la cultura è d’importazione europea, incluse le numerose compagnie di teatro francese.
Tale «tranquillità provinciale» lo induce a concentrarsi sul lavoro, tra cui i disegni del Grande Vetro, tralasciato negli ultimi tempi, ma i risultati sono scarsi. In un paese dove le uniformi militari somigliano a quelle tedesche, non manca, tra le poche distrazioni, di appassionarsi agli scacchi – antidoto al tedio argentino – ma anche ai film di Chaplin, tra cui Shoulder Arms sulla vita dei soldati in trincea.
La scena artistica? Qui il tono di Duchamp si fa sarcastico. Gli artisti locali, che vivono coi genitori e usano l’attico come atelier, non sono affatto preoccupati dal cubismo o da altre «elucubrazioni moderne». Al punto che, se Duchamp non ha intenzione di esporre, carezza l’idea di organizzare una mostra cubista. Il 26 ottobre scrive a Crotti d’inviargli copie di Les Peintres Cubistes di Apollinaire, Du Cubisme di Gleizes e Metzinger, Un coup de dés jamais n’abolira le hasard di Mallarmé ma anche riviste come «Les Soirées de Paris». Il 22 giugno, dopo cinque mesi s’imbarca per Londra.
Lontano da Parigi quanto da New York, a Buenos Aires Duchamp è doppiamente esiliato, in uno stato di sospensione geografica quanto psicologica, un esilio attraverso cui T.J. Demos ha riletto le sue sculture sospese (The Exiles of Marcel Duchamp, MIT Press, 2007). Qui del resto realizza anche To Be Looked at (from the Other Side of the Glass) with One Eye Close to, for Almost an Hour, da appendere al balcone della camera d’hotel di Katherine Dreier, sbarcata a Buenos Aires il 4 aprile 1919. Che Sculpture de voyage – un’opera che si tira fino a ridursi a brandelli – corrisponda allo stato d’animo di Duchamp in un’epoca d’incertezze? A un sopravvivere «per il rotto della cuffia»? Certamente, ma non solo.
A Buenos Aires Duchamp concepisce Ready-made malheureux. L’occasione è data da una vicenda biografica che abbiamo finora omesso: nel 1915 a New York Duchamp divide lo studio sulla 67ma Strada con Jean Crotti, trasferitosi in America con la moglie Yvonne Chastel. Nel 1916 Crotti torna a Parigi e Duchamp gli affida diversi messaggi per i suoi familiari, inclusa la sorella Suzanne. Crotti s’innamora fatalmente di lei e, a dicembre 1917, si separa da Yvonne, fino a sposare Suzanne a Parigi il 14 aprile 1919, quando Duchamp è a Buenos Aires. Nel frattempo Yvonne torna a New York e inizia un affaire con Duchamp. Non solo: lei lo seguirà a Buenos Aires finché, annoiata, l’11 marzo 1919 riparte per la Francia.
In occasione del matrimonio Duchamp spedisce alla sorella le istruzioni per realizzare Readymade malheureux. Si tratta di un manuale di geometria da tenere in aria con dei fili sul balcone del loro appartamento a rue de La Condamine. Sarà il vento stesso a sfogliare il libro, a soffermarsi su un problema specifico, a strappare le pagine. Realizzato per una lettura non umana, il libro è esposto agli elementi. Di questo readymade resta una foto e soprattutto un dipinto di Suzanne, Readymade malheureux de Marcel (1920). Come ci si è accorti una volta ritrovata la fotografia da cui è ispirato il dipinto, la scultura è capovolta, un ribaltamento dell’asse verticale che la rende irriconoscibile.
Ménage à quatre
Secondo Arthur Schwarz con Sculpture de voyage Duchamp risponde, in modo personale e non ortodosso, al principio d’indeterminazione di Heisenberg. Quando gli chiese tuttavia perché aveva appeso alcuni ready-made, Duchamp disse giusto, col suo tipico aplomb, che voleva rifuggire dal conformismo che vuole le opere d’arte appese al muro o su un cavalletto. E su Readymade malheureux precisa a Pierre Cabanne: «Mi divertiva introdurre l’idea di felice e infelice nei ready-made, e poi la pioggia, il vento, le pagine che volano, era divertente come idea». Che c’era dunque d’infelice? Che in francese «malheureux» suona come «mâle heureux», maschio felice. Facile intuire il destinatario: quel Jean Crotti che, in un ménage à quatre, flirtava con la sorella mentre Duchamp flirtava con la sua (di Crotti) ex-moglie. Prima di restare solo a Buenos Aires, con una scultura celibe da piegare e mettere in valigia.