«È con grande con grande rammarico che dobbiamo comunicarvi la messa in mobilità dei 170 dipendenti della Marcegaglia Buildtech, a causa del comportamento sconcertante del sindacato».

Ma che succede, nell’Era Renzi a licenziare non sono più le imprese ma Cgil, Cisl e Uil? La storia che raccontiamo si svolge a Sesto San Giovanni, dove ieri Fim, Fiom e Uilm si sono visti recapitare una nota aziendale con la comunicazione di chiusura. Casa Marcegaglia, soprattutto dopo la promozione dell’ex leader confindustriale Emma a presidente dell’Eni, ci tiene a sottolineare che ha fatto di tutto per evitare questa conclusione. Sarà vero? La Fiom non è d’accordo.

«Già due mesi fa Marcegaglia ci ha comunicato la decisione di chiudere lo stabilimento di Sesto, ipotizzando il trasferimento delle produzioni e dei 170 lavoratori nell’impianto di Pozzolo Formigaro, in provincia di Alessandria – spiega Mirco Rota. segretario Fiom Lombardia – Il trasferimento coinvolgerebbe anche il sito Marcegaglia di Taranto, che l’azienda ha deciso di chiudere qualche mese fa, e che pure vedrebbe una linea spostata ad Alessandria».

Secondo Marcegaglia, l’unico accordo possibile fin dal primo giorno era e rimane la sottoscrizione del proprio disegno: la chiusura di Sesto e il trasferimento in Piemonte, «consapevole del fatto – dicono alla Fiom – che moltissimi lavoratori non sono in condizione di potersi trasferire e quindi di fatto sarebbero costretti a rinunciare al nuovo posto».

Avrebbe dovuto essere cioè un ridimensionamento «indolore», almeno nell’immagine, senza dover cioè mai dichiarare i licenziamenti.

Tra l’altro i piani del gruppo prevedevano già 75 esuberi tra Sesto e Pozzolo, dato che nel sito piemontese era già in uso da tempo la cig ordinaria e in via di attivazione la solidarietà. «Negli incontri che si sono svolti in Regione Lombardia, dopo aver chiesto di valutare la possibilità di un investimento nella provincia di Milano, cosa che Marcegaglia ha rifiutato categoricamente, abbiamo avanzato la proposta di rioccupare i lavoratori non in grado di trasferirsi ad Alessandria negli stabilimenti del gruppo che si trovano a pochi chilometri da Sesto: Lainate e Corsico in provincia di Milano, Boltiere nel bergamasco e Lomagna nel lecchese – spiega Rota – Ma sono proposte che l’azienda non ha voluto nemmeno discutere».

Il confronto in Regione è terminato il 5 giugno con la sottoscrizione di un’ipotesi di accordo sottoscritta dalla minoranza della Rsu, cioè da soli due delegati e senza la firma di Fim e Fiom. L’intesa prevede il trasferimento per i volontari, e la cig e mobilità, con un incentivo di 30.000 euro lordi, per chi accetta il licenziamento. Ipotesi che i due delegati hanno voluto mettere in votazione per giustificare la loro firma.

Marcegaglia spiega che il referendum «ha avuto il sì del 95% dei lavoratori», ma la Fiom non lo ha ritenuto valido, facendo decadere le Rsu che avevano deciso di far chiudere lo stabilimento. Stesso rifiuto dalla Fim di Milano, mentre l’azienda ha chiamato a sottoscrivere la Uilm, che pure non aveva né delegati né iscritti.