Quest’anno il classico appuntamento francese degli Stati generali del documentario a Lussas (www.lussasdoc.org) ha offerto una riscoperta importante, a cura di Federico Rossin: una retrospettiva su colui che l’Independent ha definito «the most significant unknown filmmaker working in Britain during the past three decades», Marc Karlin (1943-1999).
Sul perché di tale scelta, in relazione a Lussas e non solo, Rossin dice: «Ho scoperto Marc Karlin nel 2011: cercavo film realizzati da collettivi inglesi negli anni ’70 e sono piombato su Nightcleaners Part 1 (1972-75). Un capolavoro assoluto che mi ha sconvolto per modernità delle forme, sguardo politico e forza delle immagini. Tra i membri del collettivo che lo ha realizzato c’era Karlin: mi sono messo a cercare i suoi film per due anni, finché amici inglesi, ex militanti e cineasti degli anni ’70, mi hanno messo sulla buona pista. I suoi film rappresentano per me, da storico del cinema documentario, un preziosissimo anello mancante, quello tiene insieme tra loro una radicale ricerca formale e una coscienza e un lavoro politico militanti. Mi occupo della sezione «Fragment d’un œuvre» per gli États généraux du film documentaire di Lussas da sette anni: come programmatore, sono fiero di aver portato in un festival come questo opere di autori che fino ad oggi solo cinefili eterodossi o storici fuori norma hanno potuto considerare dei documentari (tra i nomi degli autori, Peter Hutton e Michael Snow)».
La retrospettiva ha offerto la possibilità di cogliere, in sintesi, la complessità di un cinema e un punto di vista radicalmente altri. Inoltre, può essere vista come una sorta di ideale continuazione del lavoro di riscoperta dell’opera di Karlin compiuto in questi ultimi anni e che oggi conta un sito ufficiale, da cui è possibile acquistare alcuni film – www.spiritofmarckarlin.com – e un primo e fondamentale libro dedicato, Marc Karlin: Look Again, uscito quest’anno per la Liverpool University Press, a cura di Holly Aylett – una raccolta di saggi e ricordi su Karlin e i suoi film, più materiali di lavoro dello stesso filmmaker (qui, le informazioni su di lui e parte di quelle sulla sua produzione sono prese proprio da questo volume).
L’archivista del sito, Andy Robson, Holly Aylett e la vedova Karlin, l’antropologa Hermione Harris (SOAS University of London), sono senza dubbio da considerare tre figure di riferimento oggi per la tutela e la valorizzazione di quanto fatto dal filmmaker, una produzione che si può provare a delinare in alcune caratteristiche, con una necessaria premessa.
Tracce biografiche
Chi era Marc Karlin?
Nato in Svizzera, Aarau, dove passa i primi due anni di vita in un campo profughi. È di madre polacca e padre lettone, che furono costretti a lasciare Parigi a causa dell’invasione tedesca – avevano già evitato la persecuzione contro gli ebrei una volta, quando il padre aveva abbandonato il suo lavoro in Russia per l’apparente sicurezza di Danzica. Dopo la guerra, la famiglia torna a Parigi, ma poco dopo la madre abbandona i due. Il padre si risposa, e Marc viene mandato in Inghilterra a studiare la lingua e la cultura della matrigna. Saranno anni difficili, di rifiuto di borse di studio e di fattori decisivi: la scelta di studiare teatro prima e la scelta di seguire gli eventi del Maggio francese come filmmaker poi – qui l’incontro decisivo con Chris Marker, di cui diventerà collaboratore e, negli anni, amico (in seguito, lo stesso Marker non farà mistero di ammirare i film di Karlin).
Di ritorno da Parigi, una volta a Londra, entra nel collettivo di cinema militante Cinema Action, ma lo lascia poco dopo per fondarne uno nuovo, il Berwick Street Film Collective, con cui realizzerà Nightcleaners Part 1 (1972-75).
Militante e sperimentale
Dei 12 film-saggi del filmmaker, Nightcleaners Part 1 – che, tra l’altro, Rossin programma da tempi non sospetti (DocLisboa 2012) – è davvero una delle prove più evidenti e potenti di intersezione tra ricerca sul linguaggio e sulla rappresentazione politica visibili sul grande schermo. Nel seguire il lavoro notturno e il racconto corale di donne delle pulizie sfruttate e decise a sindacalizzarsi per migliorare le proprie condizioni, quello che colpisce è come il tutto passi attraverso una percezione quasi allucinatoria, mai vista per film di questo genere, e quindi per quella Storia – spazi neri, asincronie tra voci e immagini, slow motion, silenzi, e una camera in grado di arrivare dentro la materialità dell’immagine.
Un altro esempio folgorante del rapporto tra militanza e cinema sperimentale nell’opera di Karlin è, se si vuole, il primo film della serie di cinque da lui dedicata al Nicaragua: Nicaragua Part 1: Voyages (1985). Ora, nel complesso, Karlin e la sua squadra sono sul campo per riprese sei mesi, nel 1983-84, e poi sei settimane, nel 1990, ma questo primo lavoro fa caso a sé: in cinque segmenti tematicamente diversi, in un mini studio teatrale ideato per l’occasione, seguiamo la camera «viaggiare» attraverso le fotografie che la grande fotografa statunitense Susan Meiselas scattò nel 1978-79 sul campo, per raccontare la rivoluzione sandinista – mentre ascoltiamo le parole della stessa, in lettere idealmente indirizzate al narratore (sono lette da Karlin) che riflettono il rapporto della Meiselas con la Storia testimoniata dal suo sguardo. Si tratta di un film di una bellezza rara: una meditazione sulla potenza e i limiti della fotografia; sul rapporto tra fotografia e cinema; sul senso di una immagine. Senza intellettualismi di sorta.
Tra memoria e paradiso perduto
Nella retrospettiva di Lussas è stato possibile vedere un film che si può interpretare come spartiacque nell’opera di Karlin, For Memory (1982). Lungo prodotto e distribuito dalla BBC – per il resto, il nostro lavorerà per lo più con Channel 4 – presenta quella che sarà una delle tematiche portanti del suo cinema, quella che in antropologia è chiamata memoria sociale (qui attraverso la metafora di una città futuristica, dove la possibilità di ricordare sembra fuori le mura, e attraverso sei casi di scuola che creano una struttura aperta a supporto delle domande del film: perché, che cosa e come ricordiamo).
Il discorso sulla memoria assume invece il tono di un sogno in A Dream from the Bath (1985), cortometraggio che nasce come risposta al The Films Act thatcheriano del 1985 – provvedimento che tolse al Regno Unito supporti statali per il cinema – e offre una personalissima e suggestiva riflessione sul rapporto identità-cinema (britannico) per l’autore (nonostante il budget risibile, il film è visivamente ricco, e inoltre con un commento, scritto e detto da Karlin, di qualità molto alta e rigore davvero ammirevole).
Finito il sogno la memoria si fa ricognizione politica sulla situazione del tempo, in due grandi film (sempre visti in Francia), Utopias (1989) e Between Times (1993): il primo offre una serie di ritratti di individui – politici, attivisti, studiosi eccetera – e delle idee che si potrebbero incontrare in un viaggio nel socialismo britannico di allora (Karlin: «The film is not about definitions. It is more an invitation to see whether there is still a place for the word ‘us’ in the current political vocabulary»); il secondo, uno sguardo sul futuro possibile della Sinistra in Gran Bretagna all’alba del New Labour di Blair, attraverso due voci, discorsi, prospettive diverse (socialista e post-moderna) e la possibilità di creare, in merito, una mappa politica degli scenari in vista.
Negli ultimi anni prima della morte il nostro è in prima linea nella creazione di un magazine di cinema importante, Vertigo (ora non esiste più), realizza altri film – non inclusi nella retrospettiva di Lussas – e ne progetta altri ancora che non vedranno mai la luce. Fra questi, quello su Milton, il poeta britannico il cui Paradise Lost – libro-riferimento per Karlin – può valere, nel titolo, come metafora del mo(n)do audiovisivo del filmmaker: una esperienza dimenticata ma la cui luce, oggi, ricomincia a trapelare.