Nella giornata di ieri la comunità internazionale ha ricordato il primo anniversario della cosiddetta «battaglia di Marawi», cinque mesi di assedio che si sono conclusi lo scorso 25 ottobre con la liberazione della più grande città musulmana delle Filippine, catturata da centinaia di terroristi islamici del sudest asiatico che avevano giurato fedeltà allo Stato islamico.

NEI MESI DI SCONTRO A FUOCO centinaia di migliaia di persone hanno cercato rifugio nei territori circostanti Marawi, riversandosi in campi profughi approntati in tutta la regione di Lanao del Norte, nell’arcipelago del Mindanao filippino.

Le autorità filippine, nelle dichiarazioni di rito rilasciate alla stampa internazionale, hanno spiegato che al momento il 70 per cento degli evacuati è rientrato in case «temporanee o permanenti», probabilmente facendo riferimento alle zone più periferiche di un centro abitato oggi a tutti gli effetti tramutato in una città fantasma.

LE FOTO DI MARAWI a un anno dal conflitto mostrano palazzi, moschee e viali completamente sventrati dai colpi di mortaio e dai bombardamenti condotti dall’esercito filippino in cinque mesi di assedio durissimo al cosiddetto gruppo Maute, l’organizzazione terroristica ombrello sotto cui si sono riunite varie cellule dell’estremismo islamico autoctono assieme ad alcuni foreign fighters arrivati da Malesia e Indonesia.

Nonostante la città – o quel che ne rimane – sia stata ufficialmente riconquistata da Manila nel mese di ottobre, la guerra che il presidente Rodrigo Duterte ha giurato all’estremismo islamico nelle Filippine continua: la legge marziale nel Mindanao imposta dal governo lo scorso anno è stata prolungata fino alla fine del 2018 e in tutto l’arcipelago i soldati di Manila sono alla caccia di militanti affiliati al gruppo Maute, sia cellule dormienti sia miliziani fuggiti dall’assedio di Marawi.

Mentre le operazioni di bonifica e sminamento della città sono ancora in corso, dal mese scorso chi abitava a Marawi ha potuto visitare ciò che rimane delle proprie case e raccogliere il salvabile in attesa dell’inizio dei lavori di ricostruzione. Chi abitava invece in case già messe in sicurezza è potuto rientrare in città già da mesi, affrontando comunque una situazione drammatica destinata a protrarsi ancora per molto tempo.

TRA LE TESTIMONIANZE raccolte sul campo da Agenzia contro la Fame, ong che da mesi fornisce supporto umanitario agli sfollati, la 27enne Johairah Macaombao racconta: «La guerra è finita nel mese di ottobre e il 19 gennaio ci è stato concesso di tornare a casa nostra ma, una volta arrivati, abbiamo visto che era stata completamente saccheggiata. Inoltre abbiamo perso i nostri mezzi di sostentamento. Prima della guerra lavoravamo nell’agricoltura, ma Marawi non ha più un mercato per vendere i nostri prodotti. È sempre più difficile sopravvivere senza reddito. I miei figli chiedono cibo, piangono costantemente perché hanno fame, ma non abbiamo niente da dare loro».

Secondo la timeline diffusa dalle autorità di Manila, nel mese di giugno inizierà la demolizione dei quartieri irrecuperabili di Marawi, per lasciare spazio a un progetto di ricostruzione che si annuncia molto lungo: prima verranno eretti edifici di interesse pubblico, operazione che si stima durerà almeno 18 mesi; poi i privati potranno rientrare in città e ricostruire le proprie case.

L’APPALTO DA 320 MILIONI di dollari per la ricostruzione della città, secondo le indiscrezioni, dovrebbe venire assegnato al Bangon Marawi Consortium, una joint venture sino-filippina in cui spicca la statale China State Construction Engineering Corp., la più grande ditta di costruzioni al mondo.