«Dobbiamo essere seri. E sinceri. I lombardi sono stati vittime, non untori. Senza scadere nelle retorica, va riconosciuta la nostra capacità di riorganizzazione ospedaliera. Qui si resiste grazie allo spirito di molti. Però le buone notizie finiscono qui. La responsabilità della Regione è enorme ma con i dati dei contagi di oggi (ieri, ndr) se c’è un collasso saremo travolti tutti. La locomotiva del paese è l’emergenza d’Italia. Serve una terapia d’urto». L’ex deputato Daniele Marantelli per anni è stato l’uomo-chiave fra la sinistra e il Nord ovest. Varesino, di famiglia operaia, da ragazzo consigliere comunista in città, a lungo l’unico eletto non leghista. Amico di Bossi e Maroni, è stato ufficiale di collegamento fra la Lega e la sinistra in cerca di ’costole’. Prima in Lombardia proprio gli anni della riforma della sanità di Formigoni. Federalista non pentito, non ha in simpatia le prefetture da bravo discendente di Gian Carlo Pajetta che nel ’47 annunciò l’occupazione di quella di Milano ricevendo una famosa e glaciale risposta da Togliatti.

Torniamo alla Lombardia nel contagio. Che il presidente Attilio Fontana e gli eredi di Bossi oggi abbiano fatto errori, spiega, è evidente. Elenca: «Oggettivamente la Regione doveva acquistare per tempo le mascherine, organizzare un adeguato numero di tamponi. Investire sul suo punto debole che era ed è la medicina territoriale anziché buttare risorse all’Ospedale in fiera, una cattedrale nel deserto. E ancora: andava assunta coraggiosamente la decisione di istituire la zona rossa, governo o non governo. E accanto a questo serviva uno sforzo straordinario per circoscrivere i prevedibili focolai nelle case di riposo, anziché lasciar circolare il devastante messaggio “tanto sono over 80″». Ma tutto questo, ragiona Marantelli, conta poco ormai «di fronte alla dura realtà dei dati. Siamo quasi la metà dei deceduti del paese, dieci volte di quelli del Veneto che ha la metà della popolazione della Lombardia. Se la curva dei contagi altrove è incoraggiante, qui no. Dire dunque che rifaremo tutto», come fa il presidente Fontana «è un pugno in faccia alla realtà». Ma, giura, «con tutti i lutti che abbiamo alle spalle non c’è bisogno di polemiche stucchevoli. Carlo Cattaneo diceva che i nove decimi di questa terra non sono opera della natura ma delle nostre mani. È ancora un messaggio potente», sostiene Marantelli, «ci dice: lombardo svegliati».

La proposta è allora quella di «accorciare le distanze fra Roma e Milano praticando la leale collaborazione istituzionale, come ci chiede da sempre il presidente Mattarella. Sommando le forze». «Il ministro Speranza sostiene che dobbiamo preparare un piano di medicina territoriale e realizzare nuovi ospedali Covid. Giusto. Ma lui deve farlo qui prima di tutto, dove i malati Covid stanno pregiudicando la cura di molti altri malati con patologie gravi, come quelle cardiologiche o oncologiche». «Quante risorse servono? Devono rispondere Governo e Regione assieme. E la risposta non è nel piano regionale, il Prs, che è stato approvato in altra era geologica». «Oggi la Lombardia è un problema nazionale. L’Italia non può permettersi che 800mila imprese lombarde ripartano allo sbaraglio. L’Italia ha bisogno del residuo fiscale di uno dei quattro motori d’Europa per combattere le disuguaglianze. Dopodiché, certo, bisognerà pensare a nuovi modelli di sviluppo e organizzazione produttiva». Ma intanto l’emergenza qui è «un’ipoteca per tutto il paese. Questa parte del paese produce 37mila euro di PIL pro capite».

«Sono un convinto federalista, certo non un tifoso delle prefetture. Ma oggi le province sono svuotate di competenze. La Lombardia ha 10 milioni di abitanti e 1500 comuni, ma in mezzo fra comuni e regione non c’è nulla» quindi «bisogna forzare le procedure, avere coraggio. A Speranza suggerisco di insediarsi nella prefettura di Milano, insieme al ministro degli interni o un suo vice, per coordinare insieme le province e i comuni». Un commissariamento della regione, come chiede una parte del Pd? «No, non un’invasione di campo ma un contributo vero per cambiare il corso della curva. Se giunta regionale e governo continuano a non parlarsi la prima continuerà a dire che abbiamo avuto lo tsunami e il secondo, dietro il bon ton di facciata, continuerà a dare giudizi terrificanti sulla Lombardia. Con zero risultati per famiglie e imprese». «Solo a Varese ci sono 60mila imprese, delle 800 mila lombarde, ma chi le controlla? Non è pensabile di usare le stesse deroghe fra le multinazionali come la Wirpool e un’impresa artigiana con 5 dipendenti di cui due marito e moglie. Qui a regime serviranno due milioni di mascherine al giorno. Persino le multinazionali, a cui i mezzi non mancano, hanno ancora difficoltà a trovare le mascherine». «Solo così, lavorando gomito a gomito per giorni, si può organizzare una ordinata ripartenza della Lombardia, a partire dal tema delicato del trasporto pubblico. Una ripartenza indispensabile per tutta l’Italia».