Mara Chiaretti per me è stata prima una fata turchina con i capelli bianchi davanti alla scuola elementare, poi la mamma di una mia cara amica, successivamente una collega che incontravo ai festival cinematografici e con cui ci ritrovavamo sulle pagine degli stessi cataloghi. Mara ha avuto tante vite, rinnovando ogni volta una gioia, un coraggio, uno spirito intraprendente verso le possibilità che la vita continua a offrire, se si ha voglia di vederle. Nasce nel mondo dell’arte, si introduce furtiva nel mondo del teatro, a sessant’anni si lancia nel mondo del documentario. Mara si notava in ogni posto dove andava, non solo per la chioma riccia di capelli bianchi lasciati senza copertura da sempre, viso giovane a contrasto: il suo sorriso illuminava tutto ciò che le stava attorno, una giovialità fuori dal comune, un’apertura verso gli altri rara. Nel 2013 elabora filmicamente il lutto della figlia Barbara, morta troppo giovane a causa della «malattia del secolo», nel film Io sono qui.

QUANTO CORAGGIO ci vuole a rendere lieve una perdita che segna per sempre il resto dell’esistenza di una madre: Mara è coraggiosa, impavida oserei dire, donna di gusto e di cultura riesamina il lutto scandagliando con delicatezza le parole della figlia scritte in ospedale. La leggerezza il tratto tipico di questa donna che ha attraversato il Novecento con la grazia e la volatilità artistica di chi sceglie la creatività alla passività, che ha usato la potenza dell’arte contro quella della morte, al posto delle lacrime. Amica di artisti, moglie di un critico teatrale (Tommaso Chiaretti), courtier e collezionista d’arte, ha volato con eleganza sulle molteplici fasi della sua vita rinascendo ogni volta come un’araba fenice. Mi è stato raccontato da mia madre, quando le ho comunicato la notizia, che Mara nel gennaio del sessantanove era presente all’inaugurazione dei cavalli di Kounellis all’Attico: dodici cavalli vivi esposti come opere d’arte.

MI PIACE immaginarla in quel garage, osservatrice acuta e disponibile all’esperienza artistica in ogni sua sfumatura: ancora non esistevo, ancora non esisteva sua figlia Sara con cui avrei legato una forte amicizia ai tempi del liceo, ma erano gli anni della rivoluzione culturale, dell’avanguardia, della sperimentazione e lei ci stava dentro in ogni modo. Nel documentario Essere Rossana Rossanda (2016), Mara tratteggia un ritratto inedito dell’ex dirigente del Pci e cofondatrice del «Manifesto», oggi 94 enne. Oltre alle tappe fondamentali del suo percorso politico, quel che emerge a sorpresa, forse per la prima volta, è un lato volatile, quasi frivolo che l’intimità amicale tra le due donne fa germogliare una Rossanda che confessa la sua attenzione per l’aspetto fisico («io e una mia amica di Genova fummo tra le prime nel partito ad utilizzare un poco di ombretto»), il desiderio di assomigliare ad Ava Gardner, l’interesse per la pop art, non usuale nei comunisti dell’epoca. Lunedì Mara ci ha lasciati, è volata su una stella a ritrovare Barbara: da lì ci guarderanno, entrambe col sorriso, raccontare di lei, certi di non dimenticarla mai.

Una commemorazione di Mara Chiaretti si terrà domenica 27 gennaio alle 11.30 presso la Fondazione Piccolomini, via Aurelia Antica, 164, Roma