La Galleria Corsini a Roma è un luogo magico, destinato allo stupore tutto l’anno, ma con le apparizioni di Robert Mapplethorpe – disseminate nelle sale come fossero visitatori ghosts – sprigiona un’energia inconsueta e sembra sviluppare la trama di un romanzo attraverso personaggi di epoche che si sovrappongono in una fluidità tematica inaspettata.
È così che quell’Obiettivo sensibile (a cura di Flaminia Gennari Sartori, fino al 30 giugno) provocando spaesamenti con l’inserto di volti, corpi e nature morte del fotografo americano nel bel mezzo della quadreria allestita secondo il gusto del cardinale Neri Corsini, finisce per essere una narrazione, un contrappunto. Il desiderio di reimmaginare un dialogo interrotto o ancora tutto da scrivere (che ognuno può riprendere e reiterare a propria discrezione).

MAPPLETHORPE non vide mai quel luogo che oggi lo ospita ma aveva l’ossessione del passato che «ripassava» a memoria collezionando fotografie storiche (una raccolta conservata ora al Getty di Los Angeles). E se una pinacoteca settecesca doveva rispondere a precisi criteri di simmetria, l’artista di New York fuoriesce dall’inquadratura e dalla «cornice spaziale» preposta allo sguardo altrui (in uno slancio di rappresentazione di sé) per avventurarsi fra le opere, senza mai interrompere un ritmo. Ed è proprio questo ritmo «organico», quasi in punta di piedi, a segnare la riuscita di una mostra difficile: spesso, in luoghi come questo, il connubio tra contemporaneo e antico tende a sbilanciarsi a favore del secondo, inghiottendo il primo. Ma qui c’è una felicità di allestimento che non esalta l’«intruso» a scapito degli abitanti abituali che popolano le pareti; casomai, l’estraneo – Mapplethorpe – si rispecchia negli atteggiamenti di alcuni di loro e, non di rado, cattura l’attenzione focalizzandola su opere meno eclatanti.

IL SUO BELLISSIMO e poco visto Winter Landscape (1979), uno scatto che potrebbe considerarsi la versione moderna del Viandante sul mare di nebbia di Friedrich, conversa amabilmente con le atmosfere del Paesaggio con Rinaldo e Armida di Gaspard Dughet, piccolo quadro nell’Anticamera che sfugge sicuramente alla maggior parte dei visitatori. Mentre Samia e Catherine Olim diventano le testimoni mute di un atroce atto di ribellione, accompagnando la Salomé di Guido Reni nella decapitazione del Battista. Poi, nelle sale neutre, c’è l’omaggio diretto: la mostra, infatti, si iscrive in una serie di iniziative volte a rendere omaggio all’artista, a trent’anni dalla sua morte, avvenuta nel 1989.