«Ho fatto di tutto nella vita per raggiungere una serenità che non mi appartiene ed evidentemente non mi apparterrà mai» Con questa dichiarazione, che profuma di tenerezza e autoanalisi, Manuel Agnelli esordisce sul comunicato stampa consegnato ai giornalisti prima della presentazione, alla Santeria Social Club di Milano, di Folfiri o Folfox, ultimo album degli Afterhours in uscita domani. «Il titolo si riferisce a due trattamenti chemioterapici ai quali mio padre si stava sottoponendo, ma suona come una filastrocca scema o come un titolo della Cramps Records» dichiara il leader della band. Per la prima volta, in quasi trent’anni di carriera, il rocker milanese sembra cercare, fin dalle premesse, una catarsi musicale senza le gabbie dell’ermetismo lirico che tanto ha contraddistinto la sua produzione musicale precedente.

Leggendo con attenzione i testi del disco, emerge un Agnelli privato, non solo del padre (recentemente scomparso), e desideroso di comunicare senza filtri, di lasciar osservare al microscopio quella pelle splendida segnata oggi da cicatrici interiori. Fin dal primo brano, Grande, il ricordo della struggente promessa «di non morire mai» scambiata da piccolo col padre «Dopo la sua morte mi sono ritrovato come un bambino obbligato a diventare adulto, mi sentivo vulnerabilissimo e tutto il dolore che sentivo dentro di me ho cercato di espellerlo con la musica, liberando le tossine».

Ed è proprio la figura paterna il fantasma che accompagna con dolcezza un disco elettricamente sospeso fra lutto e celebrazione della vita, senza temere le contaminazioni musicali più disparate come nella sciamanica San Miguel, litania potente su base industrial assolutamente inedita per il gruppo. Merito di tanto «rinnovamento» spetta anche alla nuova line-up, a quattro anni dal tortuoso e glaciale Padania, che vede l’uscita, dopo 25 anni, di Giorgio Prette e dopo 15 di Giorgio Ciccarelli, sostituiti da Fabio Rondanini (Calibro35) e Stefano Pilia (Massimo Volume) che prosegue «quello stravolgimento della forma canzone senza voler ignorare un bisogno di tornare a una scrittura più immediata e comunicativa», come sottolinea Agnelli.

Immancabile, per un gruppo che ha attraversato gli ultimi tre decenni di musica italiana, una riflessione sul ruolo odierno del rock: «Il rock è sempre stato la trasposizione della società e purtroppo non è la società che dipende dalla musica ma viceversa. Il fermento degli anni ’70, la possibilità di un’alternativa sociale sono ormai lontani. Oggi il rock, ma soprattutto la cultura, si è imborghesito, è pigro, illuso dallo scambio della tecnologia mentre una volta gente come Pasolini portava la cultura nelle strade senza desiderarne, come ai giorni nostri, solamente il controllo.

Credo che il ruolo del rock oggi debba necessariamente riportare la propria visione del mondo alla gente, senza paura di sporcarsi le mani» Immediata la sensazione che Agnelli si riferisca alle polemiche che sono seguite all’annuncio del suo prossimo ruolo come giudice del talent X-Factor: «La mia funzione in quel contesto sarà portare la mia visione della musica. Non sono un personaggio televisivo quindi è un bel segnale che un programma così voglia rischiare puntando su di me».

Un’ultima curiosità riguardo la splendida copertina del disco che ricorda quella realizzata da Anton Corbijn per Violator dei Depeche Mode: «L’orchidea in copertina è stata un’idea di mia figlia Emma. La pianta stava morendo e ho cominciato a curarla, fotografandola ogni tanto con il mio cellulare, poi ho scoperto che questo fiore si nutre di organismi in decomposizione, una sorta di corrispettivo botanico del tumore e così ho chiuso il cerchio».