La prima cosa da dire dell’ultimo libro di Paul Mason Post-capitalism:a guide to our future, uscito lo scorso Luglio per Allen Lane, la cui traduzione italiana uscirà nel 2016 per Il Saggiatore, è che la lettura che se ne può fare in Italia è diversa rispetto alla lettura che se ne farà nel resto del mondo. Un modo semplice (e al contempo semplificatorio) per presentare Post-capitalism è dire che esso traduce per un pubblico anglo-americano mainstream alcune delle tesi più lucide dell’operaismo italiano. Presentato all’estero come un libro che spiega Hardt e Negri per non addetti ai lavori, il testo di Paul Mason si pone un problema principale: come uscire da un futuro fatto di precarietà, collasso finanziario e crisi ambientale? La risposta di Mason è il libro stesso, che ambiziosamente si presenta come un manuale verso il post-capitalismo.

Ma facciamo un passo indietro. Questo testo ambizioso e per certi versi appassionato si può meglio comprendere a partire da una presentazione dell’autore. Giornalista economico della Bbc noto al pubblico internazionale per i suoi reportage dalla Grecia, da Gaza o da Silicon Valley, negli ultimi anni Mason si è dedicato precisamente a comprendere le mutazioni nei movimenti globali. Da Live Working or Die Fighting, uscito per Vintage nel 2008, a Why it’s Kicking off Everywhere: the New Global Revolution, pubblicato da Verso nel 2013, negli ultimi anni lo sguardo di Paul Mason si è confrontato con la capacità di autoaffemazione dei movimenti dentro e contro il capitalismo finanziario.

Le radici italiane

Per tracciare un sentiero verso il Post-capitalismo Paul Mason ricorre a una cassetta degli attrezzi familiare. Il cuore del suo testo poggia infatti sul Frammento sulle Macchine dei Grundrisse di Karl Marx, il concetto di «Intelletto Generale» e la teoria del valore lavoro. L’elaborazione teorica che si produce attorno a riviste quali «Quaderni rossi» e «Classe operaia» e che con straordinaria capacità anticipatrice riscopre la quarta sezione del I Libro del Capitale, il «Capitolo VI inedito» o il Frammento sulle Macchine, costituisce uno dei capisaldi teorici di questo testo, che si rifà al lessico operaista per spiegare le trasformazioni del processo di valorizzazione del capitale e con esse l’estensione del comando del capitale dalla fabbrica alla società. «Se negli anni Settanta Negri e la sinistra radicale italiana erano prematuri nell’affermare che la fabbrica non era più il luogo della lotta di classe e che la società stessa era diventata la fabbrica, oggi quest’affermazione è corretta», scrive il giornalista inglese.

Da questo punto di vista bisognerebbe dire che il saggio di Paul Mason ha un’importanza simbolica, ovvero scandisce la diffusione nel dibattito mainstream di tesi che sino ad oggi sono state monopolio di filosofi radicali e movimenti sociali. Recensito nel Financial Times e attaccato dalla destra, il testo a posto di fronte agli economisti ortodossi temi che questi spesso ignorano né intendono legittimare. C’è da dire, tuttavia, che questo lavoro non è una trasposizione delle tesi operaiste in salsa anglosassone. Inoltre, non si rifà al capitalismo cognitivo – anche se l’autore richiama spesso la teoria e i suoi autori. Dal punto di vista metodologico, riprende la teoria delle onde di Kondratiev, giungendo ai mutati rapporti tra capitale e lavoro a partire dall’analisi dei parametri non lineari dell’ultimo ciclo economico. Anche se annota che si rifa alle tesi del filosofo italiano Paolo Virno, nel testo cita Yann Moulier-Boutang e interpreta il capitalismo cognitivo come una sorta di «terzo capitalismo» a cui contrappone la transizione al post-capitalismo.

La cosa in verità è più complicata di così. Carlo Vercellone, da sempre uno dei teorici più precisi e raffinati del capitalismo cognitivo, ha tenuto spesso a sottolineare come il concetto di capitalismo cognitivo volesse evidenziare il ruolo centrale nell’epoca postfordista assunto dalla conoscenza, senza però celebrare la capacità delle nuove tecnologie di liberare il lavoro dall’alienazione, come hanno fatto i teorici dell’economia della conoscenza, bensì esplicitando la trasformazione nella relazione tra capitale e lavoro e le possibilità di superamento della sussunzione. Da questo punto di vista la vicinanza tra Paul Mason e i teorici del capitalismo cognitivo pare sussistere nel tentativo di de-naturalizzare le categorie economiche e dismettere la pelle del lavoro salariato.

Una fine da paura

La vicinanza sussiste forse anche nelle motivazioni. Laddove Mason scrive che il capitalismo ha raggiunto i propri limiti, affermazione sulla quale si potrebbe aprire una discussione, ciò che pare preoccuparlo è la fine della razionalità progressiva del capitale, quella che Carlo Vercellone ha identificato con il divorzio tra la logica del valore e quella della ricchezza, la situazione per cui il divenire rendita del profitto ha portato a una crescita vertiginosa delle diseguaglianze acuita da politiche monetarie espansive. Il capitalismo sta morendo, ripete Paul Mason, ed è perfettamente razionale provare panico, conclude.

Paul Mason non richiama necessariamente il capitalismo cognitivo, dunque, ma fa proprie le possibilità dischiuse dalla sua analisi. E infatti le pagine più belle del libro sono alla fine quelle in cui parla di possibilità. Le pagine in cui descrive la «terribile bellezza» dell’epoca rivoluzionaria e il «massacro delle illusioni» dell’epoca fascista. In cui ci porta a Milano negli anni Sessanta per ascoltare tre lavoratori della Fiat. Si parla di esperienze di occupazione, di pratiche di auto-riduzione, di processi di riappropriazione. «All’inizio eravamo solo in sette. Poi quando abbiamo raggiunto gli uffici della direzione eravamo in settemila. La prossima volta inizieremo in settemila e alla fine saremo in settanta mila, e sarà la fine della Fiat! Agnelli, addio!». Paul Mason spulcia nella storia italiana, e filtra la sua seduzione per quella fibrillazione spaventosa che l’epoca rivoluzionaria porta con sé quando l’aria vibra di possibilità e di eccitazione.
È in fondo questa la sua proposta.

La proposta di Post-capitalism è di liberare la collaborazione dal mercato. La crescita della composizione tecnica e organica del capitale consente all’umanità di vivere nell’abbondanza e di liberare il tempo. Totale automazione, zero lavoro, zero carbonio, socializzazione del sistema finanziario, reddito di cittadinanza sono una possibilità concreta che egli chiama Project Zero. Una possibilità che questo testo ha il pregio di proiettare nel dibattito mainstream. Trascurando, forse, un vecchio problema: il rapporto di forze. Il desiderio di dare l’assalto al cielo, quando nei bassifondi muove talvolta un’angoscia che agisce legittimamente a partire da razionalità diverse rispetto anche alle più sublimi visioni.